Foto: Radio Capodistria/Fifaco
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Finalmente hanno anche un nome ed un volto alcuni degli esuli che lasciarono l'Istria al termine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie ad alcune foto ed alle brevi biografie che, come ha spiegato il direttore dell'Irci, Piero Delbello, sono state casualmente scelte per allestire una delle aree del museo, che raccontano ai visitatori chi erano le persone che hanno dovuto repentinamente abbandonare le terre natie. Una enorme testimonianza che accompagna le masserizie, in parte ordinate, in parte volutamente accatastate, negli spazi visitabili su prenotazione, del Magazzino 26.

Foto: Radio Capodistria/Fifaco
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Un riconoscimento alla storia degli istriani da parte della città di Trieste, come ha sottolineato il presidente dell'Irci, Franco Degrassi: "chiaramente il Magazzino 18 è un qualcosa che ormai, come nome, è conosciuto in Italia e all'estero, dopo gli spettacoli di Cristicchi e così via. Il Magazzino 18 è il luogo dove si erano raccolte le masserizie dei profughi, quelle che erano state abbandonate, o perché le persone erano morte o perché non erano state ritirate o perché avevano emigrato, tutte le masserizie che erano sparse in giro per l'Italia erano state portate qua Trieste. Alla fine, una parte di queste aveva preso collocazione nel Magazzino 18, del quale noi avevamo fatto una specie di museo. Anzi, più che museo era un santuario. Per noi era un luogo nel quale si veniva a vedere ciò che restava di quello che le famiglie di profughi avevano portato con sé e quindi era soltanto una parte simbolica, diciamo, non era tutto quello che era stato portato. Era la parte simbolica alla quale noi davamo una gran importanza. Io sono profugo, ho vissuto il tempo in cui queste masserizie erano presenti sia negli altri vari magazzini, sia quando le abbiamo portate qui e così via. Quindi questo serviva per far vedere chi siamo, in qualche modo i resti di quello che era una civiltà. Io sono orgoglioso che oggi vengono qua nel Magazzino 26, perché il Magazzino 26, nell’intendimento del comune, è un grande contenitore culturale cittadino, nel quale arriveranno non tutti, ma una buona parte dei musei cittadini. A questo punto, aver voluto che anche il Magazzino 18 oltre che il Museo della Civiltà istriana fiumana e dalmata venisse collocato in questo grande contenitore è in qualche modo un riconoscimento ed un motivo di riconoscenza da parte del Comune nei confronti degli istriani, per quello che hanno fatto dopo che sono venuti a Trieste e per lo sviluppo della città di Trieste. Per me uno dei grandi motivi e questo; l'altro motivo è che finalmente trova una sede definitiva. Il Magazzino 18 dove era finora era precario: cadevano le finestre, le scale non si potevano usare, per venire tutte le volte bisognava fare delle assicurazioni in maniera tale che le persone non fossero in qualche modo danneggiate. Oggi finalmente ha trovato la collocazione che sarà definitiva e questo mi fa grande piacere perché da istriano, da persona che ha vissuto l’esodo e che ha vissuto anche la raccolta di questo materiale, sono molto contento di questo".

Foto: Radio Capodistria/Fifaco
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Una nuova collocazione che potrà essere sfruttata, ad esempio, anche dalle scuole, così le nuove generazioni potranno capire cosa è stato effettivamente l’esodo.

"Già oggi al Magazzino 18 venivano tante scolaresche. Noi abbiamo fatto anche dei progetti per i quali venivano portati delle scuole. A visitare questi locali qui non si viene singolarmente, anche qui si dovrà venire a gruppi, proprio perché non esiste un presidio fisso, ma un presidio di volontari che porteranno a far vedere queste masserizie. Chiaramente è un discorso educativo, nei ragionamenti che noi facciamo alle scuole e che anch'io faccio sempre, da un lato parlo della civiltà, della civiltà che si è sviluppata nei secoli, che ha dato dei grandi nomi, dei grandi risultati, dei grandi artisti, dei grandi personaggi, che una guerra ha portato alla decadenza e da questo siamo arrivati alla rovina e fino a queste masserizie. Ma che tutto questo serva da monito, che serva da monito a non fare più questo. A me piacerebbe che questa narrazione continuasse, che la narrazione fosse conclusa con quello che queste genti han trovato quando sono venute in Italia, come sono vissute in Italia, come sono vissute all’estero e come abbiano portato parte di questa nostra civiltà, della vita e delle tradizioni istriane, fiumane e dalmate nel mondo. Oltre a ricordare, in qualche modo, anche quella parte di italianità che è rimasta in Slovenia e Croazia, con la quale noi abbiamo sempre dei rapporti e con la quale cerchiamo sempre di far sì che venga mantenuta e che non vada dispersa".

Davide Fifaco

Foto: Radio Capodistria/Fifaco
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