L’indirizzo della Corte costituzionale italiana era noto già da un anno, ed era contenuto in un “monito rafforzato” con cui il massimo organo istituzionale del paese aveva invitato il Parlamento a intervenire sulle norme che obbligano i giudici a punire con i carcere i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa.
Da allora però, nonostante le ripetute richieste in tal senso da parte delle organizzazioni dei giornalisti, nulla era successo e la Consulta non ha voluto attendere: le norme che prevedono il carcere per i reati di diffamazione commessi da giornalisti, ha detto all’interno di una sentenza, sono incostituzionali perché contrastano con la libertà di manifestazione del pensiero. La minaccia del carcere, infatti, dicono i giudici costituzionali, può influenzare i giornalisti nella cruciale funzione di controllo dell'operato dei pubblici poteri.
In particolare, la Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13 della legge sulla stampa del 1948, che in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa, compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, prevede la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa, mentre è stato conservato l’articolo 595 del Codice penale, che prevede, a discrezionalità del giudice, la possibilità di una pena detentiva solo per i casi di maggiore gravità.
Salvo che nei casi più gravi, che andranno valutati dal giudice, il paese deve dunque applicare un sistema “che contempli il ricorso a sanzioni penali non detentive”, “rimedi civilistici e riparatori adeguati”, come l’obbligo di rettifica oltre a “efficaci misure di carattere disciplinare” per chi viene riconosciuto colpevole di diffamazione.
La Corte ha anche sottolineato l’esigenza che la materia venga regolamentata con una nuova normativa con, dicono i giudici, “un più adeguato bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione”.
“Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai lontani dall’ethos della professione giornalistica, - conclude la Corte - la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione”.

Alessandro Martegani