Hanno potuto assistere al rito funebre nella cattedrale di San Nicola soltanto i familiari e i collaboratori più stretti mentre i fedeli hanno avuto modo di seguire la cerimonia in diretta TV. Il requiem solenne aperto a tutti sarà celebrato non appena sarà rientrata l'emergenza coronavirus.

È durato un'ora e mezza l'ultimo saluto all'ex arcivescovo di Lubiana in una chiesa semideserta. La bara è stata tumulata nella cripta di una delle sei cappelle laterali, accanto a quella di Alojzij Šuštar arcivescovo negli anni della transizione del paese verso l'indipendenza. Nel 2004 la nomina di Uran a capo dell'arcidiocesi lubianese fu accolta con non poca sorpresa, il suo nome non figurava tra i favoriti alla successione del militante Franc Rode. Senz'altro era molto diverso dal suo predecessore ed apparteneva alla cosiddetta corrente pastorale della Chiesa slovena attenta alle questioni religiose piuttosto che ai temi politici. Ultimo dei tre figli di una famiglia di contadini poco fuori Lubiana, Uran era considerato un uomo del popolo, amato dai fedeli anche come vescovo, ruolo nel quale era stato consacrato nel 1993 dopo essere stato ordinato presbitero nel 1970. Su iniziativa degli ex combattenti seppe anche celebrare una messa, nel 1994, per i partigiani caduti durante la Seconda guerra mondiale. Tra i suoi vari incarichi da segnalare il coordinamento dei preparativi per la prima delle due visite di papa Wojtyla in Slovenia, nel 1996. Nel 2007, già arcivescovo da tre anni, divenne presidente della Conferenza episcopale slovena e si può dire che quello fu l'avvio verso il suo supplizio culminato prima con le sue improvvise dimissioni nel 2009, volute come si sarebbe saputo dopo, da papa Ratzinger, qualcuno vi vedeva lo zampino di Rode con il quale il rapporto era abbastanza freddo, e poi nel 2012 con la sua censura dalla vita pubblica e l'esilio forzato a Trieste. Quelli erano gli anni del santo crac, il tracollo finanziario della diocesi di Maribor che fece rabbrividire il Vaticano, ma il vero motivo per cui Uran era caduto in disgrazia era il sospetto di una sua paternità, mai dimostrata e più volte smentita dallo stesso Uran. Fatto sta che soltanto nel 2015 papa Francesco gli permise di rientrare in patria dove si dedicò a varie attività pastorali. Sabato, l’attuale arcivescovo Stanislav Zore ha dato notizia della morte di Uran citando Cristo in croce che prima di morire disse Padre, perdona loro.

Boris Mitar

Foto: Radio Si/Foto: BoBo
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