La situazione nella Striscia di Gaza è apocalittica. Lo denuncia il sottosegretario generale dell'Onu per gli Affari umanitari, Martin Griffiths, secondo il quale nel territorio nessuno è al sicuro. Sono 22.600 i morti da quando sono cominciati i raid israeliani, lo scorso 8 ottobre. Per il 70 per cento le vittime sono donne e bambini, circa 5000 i miliziani di Hamas uccisi. Alti funzionari militari di Tel Aviv ammettono che, per ogni combattente di Hamas ucciso, sono morti due civili. "Troppi civili innocenti sono stati uccisi a Gaza", accusa il consigliere per la Sicurezza americano Jake Sullivan. Oltre alle bombe, la popolazione civile soffre di fame e malattie con gran parte degli ospedali messi fuori uso e gli aiuti umanitari che giungono a singhiozzo a destinazione.
A quasi tre mesi dall'inizio della guerra ad Hamas nella Striscia di Gaza, le divergenze di opinioni e le divisioni interne al governo israeliano sul futuro dell'enclave palestinese stanno diventando sempre più evidenti. Mentre il premier Benjamin Netanyahu con il Likud risalgono nei sondaggi dopo l'uccisione del numero due di Hamas, c'è scontro sul programma di gestione post-bellica a Gaza delineato dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.
Il programma, che non prevede sia il controllo di Hamas sull'enclave sia tantomeno la presenza di cittadini israeliani sul territorio una volta finita la guerra, è criticato dai Ministri di estrema destra che invece sostengono l'idea di un esodo palestinese da Gaza e la ripresa della costruzione di insediamenti israeliani nella Striscia.
Ruanda, Ciad e Repubblica democratica del Congo intanto smentiscono le notizie secondo le quali il governo israliano avrebbe avuto colloqui con i Paesi africani affinchè questi accolgano i palestinesi in fuga dalle zone sotto attacco nella Striscia di Gaza. (a.c.)

Foto: Reuters
Foto: Reuters