In questi giorni i social si sono riempiti di polemiche all’annuncio che il presidente sloveno Borut Pahor e quello italiano Sergio Mattarella avrebbero potuto fare tappa anche a Basovizza per visitare due luoghi simbolo delle barbarie del secolo scorso: il monumento ai patrioti antifascisti fucilati nel 1930, - che simboleggia la resistenza e le vessazioni subite dagli sloveni al tempo del fascismo- e la foiba simbolo delle esecuzioni sommarie e dell’esodo degli italiani della Venezia Giulia. Due luoghi importanti, meta di celebrazioni e pellegrinaggi, il primo per gli sloveni il secondo per gli italiani.

È da molto tempo che dall’una e dall’altra parte del confine si sta lavorando per superare i muri. I senatori Miloš Budin e Lucio Toth hanno metaforicamente rotto il ghiaccio con uno storico incontro, nel 2009, a Trieste, che univa esuli e minoranza slovena. Proprio allora emerse in maniera chiara che se le memorie continuavano (e continuano) ad essere e divise e probabilmente inconciliabili, il dialogo era (ed è) possibile ed anche la voglia di ascoltarsi. Fu il prologo del concerto che portò nel 2010 in città i presidenti di Slovenia, Croazia ed Italia e degli omaggi al Narodni dom ed al monumento all’esodo.

Lubiana e Roma hanno pagine della loro storia di cui non andar fiere ed hanno molti motivi per chiedersi scusa. Nel mese che ci separa dalla storica restituzione del Narodni dom- proprio nel centenario del suo rogo - le polemiche non mancheranno di farsi sentire. Molte persone, dall’una e dall’altra parte del confine, hanno tutto l’interesse a spargere sale sulle ferite. Si sono sempre sapute muovere benissimo in queste occasioni.

Resta il fatto che ci sono ancora dei passi da fare. Il presidente italiano deve riuscire ad arrivare al cippo che ricorda i “Martiri di Basovizza”, quello sloveno al “Sacrario dedicato ai martiri delle foibe”. La strada di Mattarella e Pahor non è semplice, ma se saranno in grado di percorrerla potranno contribuire a lenire le tante psicopatologie di cui si nutre ogni giorno la nostra frontiera. A settantacinque anni dalla fine della Seconda guerra mondiale ed a cent’anni dall’incendio del Narodni dom, forse potrebbe essere arrivato il momento per comprendere il dolore degli altri.

Stefano Lusa

Foto: BoBo/MMC RTVSLO
Foto: BoBo/MMC RTVSLO