Foto: AP
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Quello che si apre è un anno con molte incognite e poche certezze per la comunità nazionale italiana. Il primo grattacapo lo dovrà risolvere Felice Žiža. Il deputato della minoranza si trova nella poco invidiabile situazione di poter essere l’ago della bilancia nel calderone della politica slovena. Lui sembra deciso a voler rimanere neutrale, ma questa posizione potrebbe essere sempre meno capita e tollerata, in un paese, dove i toni del confronto stanno pericolosamente salendo e dove la percezione generalizzata oramai è quella del “chi non è con noi è contro di noi”. Una situazione delicata dove la minoranza non ha nulla da guadagnare e tanto da perdere. Destreggiarsi nel marasma di queste settimane non sarà facile ed è bene che Žiža e la sua squadra si preparino a far fronte alle bordate che potrebbero arrivare. Se giudichiamo dal silenzio dei suoi uomini dopo l’affissione di manifestini intimidatori nei suoi confronti c’è da preoccuparsi.

A livello generale il cruccio più grande sarà quello del censimento etnico in programma in Croazia. Probabilmente nei prossimi mesi le organizzazioni della minoranza lanceranno il solito “accorato” appello a dichiararsi italiani e faranno presente che numeri e diritti sono più connessi di quanto sembri a prima vista. Sta di fatto che nessuna campagna di lungo periodo è stata però avviata, nessuna riflessione sull’inopportunità di questo tipo di rilevazioni è stata fatta e nessuna richiesta di cancellarla è partita all’indirizzo di Zagabria. Si attende composti e rassegnati, come si è sempre fatto dal dopoguerra il qua, il corso degli eventi. Alla fine, potrebbe essere l’ennesima Caporetto, per una minoranza che sembra non avere ancora imparato come affrontare le grandi sfide. Sta di fatto che si raccoglieranno i frutti di quanto seminato nei decenni precedenti, compresi quelli della alleanza con la Dieta Democratica Istriana, che si rinnoverà acriticamente anche alle prossime elezioni amministrative. Tra breve, comunque, vedremo quanto sono costate l’esaltazione dell’identità istriana ed anche il nuovo culto dei dialetti istro-veneti. Il rischio, quando verranno resi noti i risultati, è che come al solito si tenti di farà finta di nulla e di girarsi dall’altra parte per far sì che nulla cambi, mentre per avviare una seria riflessione su quello che è rimasto dell’italianità dell’adriatico orientale, probabilmente, bisognerà ancora aspettare.

Stefano Lusa