Foto: Nace Bizilj/ Muzej novejše zgodovine Slovenije
Foto: Nace Bizilj/ Muzej novejše zgodovine Slovenije

Per l’indipendenza votarono l’88% degli iscritti agli elenchi elettorali ed il 95% di quelli che si recarono alle urne. Il risultato andò oltre le più rosee previsioni. La vittoria fu talmente netta che diede a tutti un segnale chiarissimo, tanto che quella sera Jože Pučnik - il carismatico leader del Demos - pronunciò la storica frase: “La Jugoslavia non c’è più, adesso ne va della Slovenia”.

Eppure, le incertezze della vigilia erano molte. In parlamento si era tentennato sui tempi e sui modi per indire quella consultazione. Qualcuno avrebbe voluto che fossero direttamente i deputati a prendere la decisione, altri chiedevano che non ci fosse alcun quorum. Alla fine, prevalse l’idea che se si voleva percorrere quella strada era necessario avere una amplissima legittimazione popolare.

Quel processo fu il risultato di un serrato confronto tra le nuove forze politiche e quelle uscite dalle "organizzazioni sociopolitiche" del vecchio ordinamento. In Slovenia l’opposizione democratica aveva vinto le elezioni, ma il sistema elettorale proporzionale ed il fatto che alla presidenza della repubblica fosse stato eletto Milan Kučan, ex leader della Lega dei comunisti, costrinsero tutti a collaborare.

Da quel 23 dicembre, con qualche paura e con qualche tentennamento da parte di alcuni, si lavorò per arrivare al 25 giugno 1991 in cui venne proclamata l’indipendenza. Seguirono 10 giorni di scontri con l’esercito federale, che alla fine lasciò la Slovenia e se ne andarono a combattere nel resto della federazione. Gli sloveni stavano per raggiungere il risultato sperato, mentre il resto del paese precipitava in una nuova stagione di guerre balcaniche. Per ottenere il riconoscimento internazionale ci vollero altri sei mesi. A quel punto cominciò quella che fu una storia di successo, con Lubiana proiettata verso l’Unione Europea.

Stefano Lusa