Foto: Olja Triaška Stefanović
Foto: Olja Triaška Stefanović

La leadership della Comunità autogestita costiera vuole un posto nel Comitato di coordinamento, l’organismo del Ministero degli Esteri italiano, dove si decidono le assegnazioni dei fondi a favore della minoranza. Per l'Unione Italiana quella poltrona è una sua prerogativa esclusiva.

Le due organizzazioni hanno promesso parleranno di questo e di altri problemi e che cercheranno di trovare un’intesa per definire quelle che dovrebbero essere le loro reciproche competenze. Non è un dibattito che inizia per la prima volta. Le velleità della Comunità autogestita di costruire rapporti diretti con l’Italia non sono nuove e non è nuovo nemmeno il proposito di Unione Italiana di voler avere un ruolo anche nei rapporti con le autorità slovena. Alla fine, più che dall’intesa interna, dipenderà, come al solito, da come Roma e Lubiana decideranno di distribuire le care.

Intanto sulla scena ci sono ormai da decenni sempre gli stessi attori. Martedì scorso durante un dibattito pubblico, organizzato dai sostenitori delle prerogative di Unione Italiana, a parlare sono state praticamente esclusivamente le solite vecchie glorie che hanno fatto fortuna nelle organizzazioni minoritarie e nella politica slovena. Tutti hanno raccontato la loro storia e hanno sciorinato i loro meriti, così non c’è stato quasi il tempo per affrontare i problemi di oggi e tantomeno di riflettere sul domani.

In ogni modo i connazionali coinvolti nel dibattito, i rappresentanti dell’Unione Italiana e quelli della Comunità autogestita, hanno voluto ribadire che l’unitarietà è sacra, un vero e proprio dogma di fede, che non si tocca e che nessuno vuole cancellare. Quello che non sono riusciti a fare invece è spiegare cosa sia in realtà e come se la immaginano nel futuro. La loro retorica ricorda così quella usata in Jugoslavia degli anni Ottanta, quando nel paese tutti gatantivano di voler difendere “l’unità e la fratellanza” proprio come “la pupilla dei propri occhi”. Non ci volle molto a capire che erano solo vuote parole che ad alcuni servivano per preservare le proprie rendite di posizione e ad altri per cercare di scardinarle.

Stefano Lusa