È stato uno dei parlamentari più longevi della storia della repubblica slovena. Roberto Battelli è entrato in parlamento proprio mentre il paese si accingeva ad abbandonare il calderone jugoslavo e ha occupato il seggio specifico, destinato alla comunità nazionale italiana, sino alla scorsa legislatura, quando ha deciso di non ricandidarsi più. Ora continua ad essere un attento osservatore della realtà politica slovena e di quella della minoranza italiana. La scena politica in Slovenia è arroventata. La temperatura, come ogni volta che torna al governo il centrodestra con Janez Janša, è alle stelle e l'opposizione sta cercando di mettere in crisi l’esecutivo.

Ho la fortuna di poter guardare tutto da lontano, non sono più coinvolto nell’arena direttamente. L’opposizione fa il suo mestiere. A tutti i costi vorrebbe impedire all'attuale governo di lavorare con concentrazione sui problemi del paese, dove ovviamente al primo posto c’è la lotta alla pandemia. Quello del governo non è un compito facile. L’opposizione gioca un ruolo ambiguo e forse anche irresponsabile perché si scaglia contro quelle che sono misure assolutamente necessarie per contenere l’epidemia. Quelle adottate in Slovenia sono le stesse musire che vengono usate nell’area europea ed anche al di fuori dell’Unione europea. Si vede che esiste un coordinamento nella lotta al Covid. Adesso si aspetta il vaccino, ma c’è anche chi dice che dovremo convivere a lungo con il virus che è pernicioso nella sua azione. Naturalmente oltre a tutte le cose legate alla pandemia vi sono anche quelle correnti che il governo deve affrontare.È un dato di fatto che l’attuale opposizione, che aveva già governato, seppur con una maggioranza debole, ha abbandonato il quadro di comando proprio quando vi è stata la prima forte ondata di epidemia".

Adesso però vorrebbero riprendersi il timone.

"Sì, ma non hanno i numeri e, vista quella esperienza, sappiamo che non sapevano governare. Questo è il loro problema".

C’è chi vorrebbe il referendum contro i finanziati all’esercito.

"Attenzione! Si tratta di 780 milioni in 6 anni. Sono stati approvati i fondi per i primi 2 anni. Bisogna capire che noi, come membri della Nato, abbiamo anche dei doveri da assolvere e delle promesse da mantenere. La situazione, per quanto riguarda la sicurezza, sta cambiando e le forze armate devono essere attrezzate per affrontare le nuove sfide. I militari non sono qualcosa che viene usato contro le persone, le forze armate difendono ed assistono la popolazione. Basti pensare all’aiuto che danno quando vi sono delle emergenze, delle calamità naturali ed in altre situazioni che non implicano l’uso delle armi. Le forze armate non sono qualcosa di ostile, ma sono utili, molto utili".

Janez Janša, però, viene dipinto come il principe delle tenebre.

"Questo è l'immagine che nei decenni è riuscita a montare quella parte della politica ben occultata che ha spadroneggiato dal 1990 in poi, ad eccezione del primo governo del Demos e poi nell’unico mandato, dal 2004 al 2008, quando la compagine guidata dal partito democratico riuscì a portare a termine il proprio mandato".

In quella occasione lei collaborò con il governo.

"Andiamo con ordine. Quando cominciò la mia esperienza politica avevamo ancora il sistema tricamerale. Noi delle minoranze avevamo un gruppo parlamentare che contava un certo numero di componenti. Bisognava lavorare sulla nuova costituzione ed adeguare la mira per quanto riguardava l’assunzione di tutti i poteri per far diventare la Slovenia un paese indipendente e democratico. Quelle erano le priorità. Debbo dire che ho incontrato una notevole solidarietà, da parte di tutti gli schieramenti, sia da quello di sinistra sia da quello di destra. Tutto, però, ha cominciato a diventare più complicato quando si trattò di applicare quello che era stato previsto. Ad un certo punto capii che più di tanto non si sarebbe ottenuto, almeno nel breve periodo. Tutto sommato dal 2004 al 2008 andò abbastanza bene, anche per quanto riguarda alcuni passi compiuti in materia di status delle nostre istituzioni ed anche su altre cose che hanno contribuito a migliorare la nostra condizione di minoranza".

Quando tutti i voti contano in parlamento il paese si accorge che esistono anche i deputati della due comunità nazionali. C’è molta attenzione adesso su quello che fanno, su come votano, sul perché votano questo o quel provvedimento…

"I nostri rappresentanti in parlamento seguono una delle possibili regole, che spesso e volentieri è quella giusta, cioè quella di appoggiare l’esecutivo in carica. Ovviamente, tutto questo avviene a livello politico. C’è uno scambio, una solidarietà, che si stabilisce e quindi vi sono potenzialmente anche dei vantaggi per le minoranze nazionali. Se fatto bene questo lavoro è utile e lascia un segno positivo che consente di progredire anche a gruppi minoritari come il nostro o quello ungherese che sono esigui dal punto di vista numerico e deboli soprattutto per quanto riguarda la dimensione economica".

Cosa succede all’interno della comunità nazionale italiana? Non è un momento semplice, siamo in mezzo al guado. Forse dopo quel grande moto tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta c’è stata poca capacità di ripensare e di programmare.

“C’erano molte speranze, alcune cose si sono fatte bene ed è giusto che siamo stati compiuti dei passi importanti, anche per quanto riguarda le nostre istituzioni culturali, alle quali non possiamo rinunciare in nessun modo. Poi, però, l’Unione Italiana si è data un assetto forse troppo farraginoso. Ad esempio ci sono questi attivi consultivi - anche se io non li critico – e poi nelle comunità c’è una sorta di raddoppio di ruoli , visto chefungono anche da collegio elettorale per i consiglieri dell’assemblea dell’Unione Italiana e quindi, da un punto di vista politico, si finisce con l’avere le mani legate da soggetti, previsti per altro dalla statuto, che ricoprono più ruoli. Non c’è, così, la giusta distanza di giudizio da parte dei consiglieri dell’assemblea, che dipendono csì dalle comunità".

Un dibattito che va avanti da decenni…

"Non lo so se effettivamente si sia mai cristallizzato un ragionamento sull’assetto attuale dell’Unione Italiana, che è avvenuto come è avvenuto, senza tener conto della memoria storica e di alcune regole, che se rispettate potrebbero dare maggior forza all’assembla. È successo esattamente il contrario, perché, ad esempio, anni fa i due massimi rappresentanti dell’Unione -il presidente della giunta ed il presidente- si sono sottratti al giudizio dell’assemblea. Io votai contro, quando la stessa assemblea rinunciò alla nomina del presidente e del capo dell’esecutivo".

Si passò all’elezione diretta. Non fu un valore aggiunto?

"Il problema è un altro: l’unico luogo in cui le politiche andrebbero decise è l’assemblea dell’Unione Italiana. Svilendo il suo ruolo non vi è più chiarezza nelle politiche che si attuano. Secondo me non va bene. Molti altri saranno soddisfatti di come vanno le cose, ma io trovo un po’ pericoloso rinunciare al ruolo politico che dovrebbe avere il nostro parlamentino".

Un’assemblea, di cui lei è stato membro, che non è stata in grado di produrre grandi dibattiti politici.

"Grandi dibattiti… Nel nostro piccolo, grande diventa la formazione delle risorse umane in italiano, perché è l’unico modo di progredire. Si tratta dare alle nuove generazioni tutti gli strumenti per poter capire meglio la realtà ed il mondo che cambia. Io credo che questo sia il punto. Formare coloro che saranno in grado di prendere in mano il futuro. Per farlo bisogna garantire a queste generazioni un futuro in italiano. Noi qui in Slovenia parliamo anche lo sloveno, in Croazia si parla anche il croato. Il problema non è quello. Si tratta di mantenere la nostra lingua e la nostra cultura a livello alto. Il punto è attrezzare le nuove generazioni ad affrontare il presente ed il futuro, consapevoli del passato. Bisogna avere gli strumenti per poterlo fare e la lingua è il veicolo per creare la capacità di capire il mondo, chi non sa parlare bene non può neanche pensare bene".

Stefano Lusa

Foto: BoBo
Foto: BoBo