Foto: BoBo
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“Pensando ai vantaggi del bilinguismo nello sviluppo cognitivo dell’individuo rilevati dalle nuove ricerche vanno sfatati quei miti negativi che frenano l’uso della lingua materna, che per tanti di noi è proprio il dialetto”. La professoressa Gianna Mazzieri Sanković non ha dubbi e - pensando ai connazionali che, a volte, al posto di rivolgersi ai figli nel dialetto materno usano l’italiano standard- aggiunge: “In Italia, di fronte a 60 milioni di abitanti, la questione non si pone così drammatica, ma di fronte ai 2 mila o 3 mila parlanti si capisce invece che il dialetto potrebbe diventare una lingua in via di estinzione e affinché ciò non avvenga è necessario sensibilizzare le nuove generazioni e invitarle a parlare quanto più in dialetto, anche perché le nuove scoperte scientifiche lo trattano come una lingua, per cui un bambino che cresce con il dialetto, poi con l’italiano, il croato e forse anche l’inglese, ha dei vantaggi che forse andrebbero spiegati al nostro pubblico”.

Un ragionamento sul binomio lingua-dialetto dimostrato da vari studi scientifici quello della Mazzieri-Sanković, proposto nel volume “Il dialetto fiumano parole e realtà”, pubblicato a novembre e curato -oltre che dalla Mazzieri Sanković - da Irene Mestrovich, Corinna Gherbaz Giuliano e Martina Sanković Ivančić. “Effettivamente è un libro che nasce grazie al concorso di diverse persone, di tanti intellettuali e che prende spunto da una tavola rotonda sulla necessità di salvaguardia del fiumano organizzata dalla Comunità degli italiani e dal Consiglio per la minoranza di Fiume”, racconta la responsabile del dipartimento di italianistica della Facoltà fiumana.

Il volume si presenta con una prima parte teorica che iniziando dalla storia del dialetto fiumano ci porta ai giorni nostri. La seconda parte invece racchiude una vera e propria piccola antologia di testi in vernacolo che partono dalla fine Ottocento e inizio Novecento e arrivano all’oggi: Zuane della Marsecia, Arturo Caffieri, Ettore Mazzieri, Tiziana Dabović, Laura Marchig per nominarne alcuni. Una scelta- fa capire la nostra interlocutrice- “dovuta all’impossibilità di recuperare testi dialettali, denunciata anche dalle scuole”. Per quanto riguarda la parte teorico-scientifica, rilevanti i contributi di Kristina Blagoni che cerca di rispondere all’eterno quesito sul dialetto segno di arretratezza o civiltà e quello di Maja Giurgiulov sull’uso del fiumano nella produzione scritta informale dei semicolti a inizio Novecento. D’importante valore pure gli studi della professoressa Mazzieri-Sanković che propone alcuni documenti storici, ma anche studi sociologici e culturali che aprono le porte a nuove ricerche e a nuove riflessioni.

La Tariffa del pesce del 1449 e la lettera del Capitano dei giudici alla Città di Cividale del 1445, custodita dall'Archivio di stato di Udine sono una vera e propria sfida per i linguisti; si tratta dei primi documenti scritti che testimoniano l’idioma fiumano e dai quali va fatta luce se sia un dialetto riconducibile alla radice veneta o tragga discendenza diretta dal latino; personalmente propendo per quest’ultima variante”, ci racconta la nostra interlocutrice che nel volume, oltre che della nascita del fiumano, ne collega sviluppo e destino a quello di importanti fatti storici quali ad esempio l’esodo. “C’è chi sostiene che con la spaccatura in due tronconi, la parlata originale si sia mantenuta meglio nelle nuove case degli andati, ma anche questo è un discorso complesso perché sappiamo che il fiumano si parla molto meno nelle realtà regionali dell’Italia o in Canada, Argentina, Australia dove è contaminato dall’italiano usato nei vari circoli e club frequentati da persone di varia provenienza. Inoltre, è minore la possibilità di trasmissione poiché le seconde e terze generazioni di esodati si integrano più facilmente e vengono assimilati dalle nuove realtà statali”.

"D’altro canto, molti sono i problemi anche a Fiume dove il dialetto è trasmesso in famiglia, in Circolo, ma non è più sentito nelle vie e per le strade anche perché nonostante la Comunità italiana sia importante e tra le più numerose siamo comunque una minoranza esigua”, sostiene la capo-dipartimento consapevole delle tante sfide e difficoltà collegate alla salvaguardia di un idioma che, come dice: “è un organismo vivo soggetto ai cambiamenti sociali, politici, culturali del territorio”. Influenze che cambiano la struttura stessa della parlata che, come il fiumano, in passato ha avuto una prevalenza di vocaboli di derivazione tedesca, poi croata e soprattutto del dialetto ciacavo. “Anche qui andrebbe studiato quanto il fiumano ha assorbito dal ciacavo e, viceversa, quanto il ciacavo ha assorbito dal fiumano”, sostiene la Mazzieri Sanković, ricordando che sono proprio queste iterazioni, questi scontri-incontri a creare ricchezza. Una ricchezza che va salvaguardata con l’impegno di tutti: municipalità, enti, associazioni, ma in primo luogo con la responsabilizzazione dei parlanti che devono trasmettere alle future generazioni la parlata fiumana.

Lionella Pausin Acquavita