C'è da rallegrarsi dell'attenzione per la letteratura degli italiani d'Istria e di Fiume che da non molti anni è possibile riscontrare presso case editrici della madre patria.
Non quelle maggiori, a dire la verità. Ma è pur sempre degno di rilievo lo spazio che stanno dando ad autori e libri per più ragioni interessanti, e finora conosciuti al di sotto del loro valore, sigle di medie dimensioni come la salentina Besa e la veneta Ronzani, o anche editrici più piccole come la ligure Oltre. È appunto quest'ultima che dopo i romanzi e racconti di Aljoša Curavić, Laura Marchig, Nelida Milani, manda ora in libreria un'opera importante, e che ancora mancava: una storia della letteratura italiana a Fiume nella seconda metà del Novecento, scritta dalle fiumane Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano, entrambe docenti presso il dipartimento di Italianistica dell'università quarnerina. Al centro del volume ("Un tetto di radici", pp. 694) vi è dunque quella produzione letteraria dei 'rimasti' che a Fiume ha le sue voci più rappresentative in Osvaldo Ramous, Mario Schiavato, Giacomo Scotti, Alessandro Damiani, Laura Marchig e altri autori e autrici di spessore che hanno mantenuto viva la lingua italiana dopo la frattura dell'esodo. Vengono però ricordati anche autori di origine fiumana vissuti lontano dalla loro città, oppure nati in esilio, ma rimasti legati a Fiume, sentimentalmente e letterariamente, come la narratrice Marisa Madieri, il poeta Valentino Zeichen, lo scrittore (ed editor di Oltre) Diego Zandel. E prima di loro alcuni altri esponenti di quella che il critico triestino Bruno Maier, maestro degli studi letterari istriani, chiamava la 'linea liburnica', come Enrico Morovich e Paolo Santarcangeli, nati all'inizio del secolo e poi costretti all'esilio, e naturalmente Franco Vegliani, l'autore del celebre romanzo "La frontiera". Il tutto preceduto da un'ampia sintesi che offre al lettore un quadro d'insieme della letteratura italiana a Fiume dalle origini al Novecento. Il titolo prende a prestito un verso di Osvaldo Ramous (1905-1981): "Se le case squarciate / terranno aperte le bocche / avide della perduta intimità, / noi scaveremo la terra / per costruirci un tetto di radici".