Cresce la preoccupazione per i rischi di inquinamento delle falde acquifere nella parte slovena dell’ Istria.
Il disastro ecologico verificatosi nel capodistriano ha messo in luce tutte le debolezze nella gestione di un territorio su cui le politiche ambientali e la salute dei cittadini sono in secondo piano rispetto agli interessi economici spesso traghettati sotto l’ etichetta di interessi nazionali su cui non si può discutere.
Lo si è visto anche durante le fasi successive all’ incidente, dove si ha avuto la sensazione che sia prevalsa di più la preoccupazione per le sorti della viabilità delle merci portuali che per la salute dei cittadini. Poco o niente si è parlato di responsabilità e cause e di alternative alle debolezze del sistema dei trasporti sloveno. Lo sappiamo da decenni che l’ unico binario, ormai vecchio , che collega il porto di Capodistria al resto del paese, è insufficiente rispetto alla mole del traffico, anche altamente inquinante, legato al porto di Capodistria; traffico che sta aumentando esponenzialmente, come puntualmente riferito con soddisfazione corale dai media nazionali. Sappiamo anche che il raddoppio del binario, di cui si sta parlando da decenni, non farà altro che raddoppiare il traffico raddoppiando i rischi. Tutto questo in un contesto europeo, dove si parla troppo di muri, di fili spinati , concorrenzialità e interessi nazionali e poco o niente di sinergie portuali e viarie internazionali ( ad esempio con Trieste). Che dire, siamo ancora qui, nel nostro deserto dei tartari, ad autoflagellarci aspettando un nemico che non verrà mai. Anche perché, come si è visto in questo caso, il nostro principale nemico siamo noi stessi.

Aljoša Curavić

Foto: EPA
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