Foto: Radio Capodistria
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Tanti gli esuli, tanti i rimasti e tante le autorità che anche quest’anno hanno voluto esprimere pietà e commemorare il centinaio di vittime di quella che -finalmente- viene riconosciuta come la più triste pagina del dopoguerra in Istria. “Ci sono ancora diverse teorie, ma solo una è la verità: i tanti morti causati dall’esplosione che provocò l’esodo e l’abbandono da queste terre di tanti italiani”, ha detto il sindaco di Pola Filip Zoričić mentre la vice-presidente della Regione istriana Jessica Acquavita, auspicando che una ferita condivisa diventi ponte di collaborazione e non ostacolo, ha affermato che quel capitolo triste della nostra storia coinvolge andati e minoranza italiana ma riguarda tutta la popolazione istriana. “Bisogna essere più forti delle ideologie e delle contrapposizioni ed operare affinché non ci siano più noi e voi”, ha detto il deputato italiano e vice-presidente del Sabor Furio Radin.

Concetto ripreso dal vice-console onorario Tiziano Sošić mentre il presidente dell’Unione italiana, Maurizio Tremul , ha auspicato che il percorso di pace e riconciliazione compiuto in questi ultimi anni dalle massime autorità di Italia, Slovenia e Croazia sia seguito ora anche dalla società civile. “Doveroso ricordare il passato ed esprimere partecipazione e solidarietà a chi ha sofferto con la speranza che non si ripeta più”, il messaggio di Boris Siljan degli antifascisti di Pola mentre il presidente del Consiglio della minoranza italiana della Regione istriana Ennio Forlani ha ricordato il convegno dello scorso anno e la figura del dottor Geppino Micheletti, sui quali è stato pubblicato un volume distribuito ai presenti. Graziella Cazzaniga Palermo, presidente dell’Associazione italiani di Pola e dell’ Istria - Libero comune di Pola in esilio ha ringraziato le autorità locali per la collaborazione e presenza ed ha chiesto aiuto affinché sulla lapide che ricorda la stage siano incisi i nomi delle 64 vittime identificate.

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Tra i numerosi presenti a Pola, pure Mara Vivoda figlia di Lino Vivoda, scrittore, pubblicista e grande attivista nel mondo dell’associazionismo degli esuli, scomparso un anno fa e che in quella domenica del 18 agosto 1946 perse il fratello Sergio di soli 8 anni . “Era andato in spiaggia con i santoli per fare una giornata di festa così come si facevano a Pola; papà non era andato perché aveva appena comprato un libro e lui che amava leggere aveva preferito rimanere a casa”, ci dice Mara e rievoca il racconto del genitore: “Parlava sempre di un esplosione che si è sentita fortissima e di una nube di fumo che si era alzata dalla spiaggia dove nessuno capiva cosa fosse successo; in seguito, scoprì che anche il fratellino piccolo era tra le vittime”. Nonostante siano passati 77 anni dai fatti la commozione è grande. “Sì, è fortissima anche perche papà partecipava sempre a questa cerimonia, testimoniando l’accaduto”, aggiunge Mara Vivoda e dice: “Lui diceva sempre che nessuno poteva pensare che una giornata tranquilla avrebbe potuto avere quegli esiti e li avrebbe potuti coinvolgere”. “Il coinvolgimento è forte”, conclude la nostra interlocutrice, “perché il ricordo si deve portare avanti ed è una parte di storia che papà diceva non si dovesse dimenticare ed io sono qua a rappresentarlo anche per questo”. (lpa)

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