Foto: Reuters
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Investigatori mossi da "un proposito criminoso", che "esercitarono in modo distorto i poteri", mettendo in atto "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana".
È il quadro che emerge dalle 1865 pagine delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d'assise di Caltanissetta condannò, più di un anno fa, i responsabili della strage di via d'Amelio, in cui venne ucciso il Giudice Paolo Borsellino con cinque agenti della sua scorta.
Grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza i giudici avevano riaperto le indagini sulla strage scoprendo il depistaggio.
Accanto ai colpevoli individuati, fra gli altri Salvino Madonia e Vittorio Tutino, condannati all'ergastolo, i giudici puntano il dito anche contro i finti collaboratori di giustizia, che erano stati utilizzati per creare una falsa ricostruzione dei giorni che portarono all'attentato, ma soprattutto contro gli investigatori e i funzionari che condussero le indagini.
Il gruppo che indagava sulle stragi del '92 guidato dal funzionario di Polizia Arnaldo la Barbera, avrebbero lavorato per pilotare le dichiarazioni dei pentiti e avvalorare una falsa versione dell'attentato", "una serie di forzature, - dicono i giudici nelle motivazioni - tradottesi anche in indebite suggestioni".
L'obiettivo sarebbe stato quello di scoprire fonti rimaste nell'ombra: "I finti collaboratori di giustizia, dicono i giudici, avevano fornito "informazioni estranee al loro patrimonio conoscitivo ma rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà". Soprattutto però si voleva coprire la responsabilità nella strage di altri soggetti, in un "quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere".
In questo scenario rientra anche la scomparsa dell'Agenda Rossa, il diario tenuto sempre con sé da Paolo Borsellino, e scomparso subito dopo la strage: anche sotto questo aspetto le motivazioni indicano la responsabilità del gruppo d'investigatori che seguirono le indagini sulle stragi, su cui è stata aperta un'inchiesta. Lo stesso coordinatore del gruppo, La Barbera, secondo la corte, ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda".