Foto: EPA
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La sera del 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia naufragò mentre navigava vicinissima all'isola toscana del Giglio, fu commessa una drammatica serie di errori.

Incomprensioni, superficialità, imperizia, vigliaccheria, che ebbero le conseguenze disastrose che ora tutti conosciamo, con 32 vittime e 157 persone ferite.

La Concordia, che poteva ospitare 3.780 passeggeri e 1.100 membri dell'equipaggio, divenne la nave passeggeri più grande mai naufragata dai tempi del Titanic, ed il simbolo principale della catastrofe fu il capitano Francesco Schettino.

L'allora cinquantaduenne Schettino, nato a Castellamare di Stabia in una famiglia di marinai, dal 2006 comandava la Concordia. Alla base dell'incidente ci sarebbe stato proprio un ordine del comandante che disse ai suoi ufficiali che quella sera la nave avrebbe dovuto fare una piccola deviazione di rotta perché "c'era da fare l'inchino all'isola del Giglio".

La pratica dell'inchino, consueta su molte navi, consisteva nell'avvicinarsi il più possibile alla costa per rendere omaggio a qualcuno sulla terraferma e dare la possibilità ai passeggeri di ammirare da vicino lo spettacolo dei paesi illuminati di notte. Quel giorno Schettino diede anche indicazione di essere avvertito quando la nave si fosse trovata nelle vicinanze del Giglio: voleva essere lui a eseguire la manovra.

Ma una serie di incomprensioni tra il comandante ed il timoniere portò alla collisione della nave con gli scogli: si aprì uno squarcio di 70 metri, otto metri sotto la linea di galleggiamento, che portò ad un progressivo inclinamento dell'imbarcazione, mentre Schettino, mentendo, emanava comunicati di un blackout, senza l'ordine di abbandonare la nave, che fu dato solo dopo oltre un'ora dall'impatto. A quel punto però mancò il coordinamento delle operazioni di salvataggio, nessuno che cercasse di mantenere l'ordine, che gestisse l'evacuazione con razionalità. A causa di tutte queste imperizie morirono 32 persone.

Schettino fu arrestato nei giorni successivi al naufragio. Con lui vennero indagati altri ufficiali, il timoniere, il responsabile dell'unità di crisi di Costa Crociere, il presidente e il vicepresidente della società. Chiesero il rito abbreviato, che venne concesso a tutti tranne che al comandante Schettino.
In pratica, fu stabilito che la responsabilità era di Schettino, e di nessun altro.
Le conseguenze psicologiche per molte persone che erano a bordo della nave continuano ancora oggi, a dieci anni di distanza.

Davide Fifaco