Foto: Reuters
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I carabinieri hanno perquisito per tutta la notte il covo a Campobello di Mazara, nel trapanese, del boss Matteo Messina Denaro. Si tratta del paese del favoreggiatore Giovanni Luppino, finito in manette insieme al capomafia. Il nascondiglio si trova proprio nel centro abitato.

Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido, che da anni indaga sull'ex latitante di Cosa nostra. All'interno della tana per ora sono stati rinvenuti oggetti di lusso, vestiti firmati e profumi ricercati ma non armi. I carabinieri stanno cercando l'archivio che, secondo diversi pentiti, contiene la risposta a molti dei segreti della stagione delle stragi.

Intanto Messina Denaro è sbarcato ieri sera con un volo militare all'aeroporto di Pescara. Probabilmente il boss verrà detenuto nel carcere de L'Aquila poiché è una struttura di massima sicurezza che già in precedenza ha ospitato personaggi di spicco della mafia. Inoltre, nell'ospedale del capoluogo è presente un centro oncologico. Come noto il boss da anni soffre di problemi di salute ed è stato catturato proprio in una clinica dove doveva essere sottoposto a chemioterapia. L’inchiesta, del resto, è partita proprio dalla malattia del boss, con i favoreggiatori che, pur sapendo di essere intercettati, parlando tra di loro avevano più volte accennato alle malattie del capomafia.

Indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, le forze dell'ordine sono riuscite a stilare una lista di pazienti sospettati, fino ad arrivare alla prenotazione di una seduta di chemioterapia che ha fatto scattare il blitz.

"Abbiamo catturato l'ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93", ha dichiarato il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. "Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. È un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato". "Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico". "Non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica anche perché i documenti che esibiva il latitante erano in apparenza regolari, ma le indagini sono comunque partite ora" ha aggiunto il procuratore.

Davide Fifaco