Foto: Reuters
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"Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni". Queste le parole dell’uomo tetraplegico costretto a letto da dieci anni, a causa di un incidente stradale in auto. Ha chiesto da oltre un anno all'azienda ospedaliera delle Marche che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere, legalmente in Italia, ad un farmaco letale per porre fine alle sue sofferenze.

Dopo aver letto il parere del Comitato etico, secondo quanto rivelato dall'Associazione Coscioni, l'uomo ha inoltre aggiunto: "Sono stanco e voglio essere libero di scegliere il mio fine di vita. Nessuno - prosegue l'uomo in un video - può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni e condannarmi a una vita di torture. Si mettano da parte ideologie, ipocrisia, indifferenza, ognuno si prenda le proprie responsabilità perché si sta giocando sul dolore dei malati".

Lo storico via libera del comitato etico dell'Asl delle Marche ha attestato che il paziente possiede i requisiti per l'accesso legale al suicidio assistito ed è arrivato dopo due diffide legali e l'aiuto offerto dall' associazione Luca Coscioni. Si tratta quindi del primo malato in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, in seguito alla sentenza "Cappato-Dj Fabo" emessa dalla Corte Costituzionale.

In commento a questo via libera la Pontificia Accademia per la Vita afferma che "la materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso" ed aggiunge: "La strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l'insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l'équipe curante".

"Rimane tuttavia la domanda - continua l'Accademia Pontificia - se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione ‘di principio’ del suicidio assistito, o addirittura dell'omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l'omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti?".

Davide Fifaco