Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Non è il primo dietrofront, né la prima divisione su un tema fra i leader della maggioranza di governo in Italia, ma quella sul redditometro è una vicenda che forse più di altre ha messo in luce perlomeno una scarsa capacità di coordinamento nel governo, appena uscito dalle polemiche sul superbonus.
L’annuncio della presentazione di un decreto che prevedeva l’istituzione del cosiddetto “redditometro”, una serie di parametri che l’Agenzia delle entrate utilizzerebbe per valutare se il tenore di vita di un contribuente corrisponde alle sue entrate ufficiali, ha infatti scatenato la bagarre nella maggioranza, tanto da far intervenite la stessa Giorgia Meloni che in serata, con un video messaggio diffuso sui social, ha annunciato il blocco del provvedimento che avrebbe dovuto andare in Consiglio dei Ministri venerdì: "Abbiamo ereditato una situazione molto pericolosa – ha detto - nella quale non c'è alcun limite al potere discrezionale dell'amministrazione finanziaria di contestare incongruenze tra il tenore di vita e il reddito dichiarato. Da qui la necessità di emanare un decreto ministeriale che prevedesse precise garanzie per i contribuenti. Quel decreto ha però prodotto diverse polemiche", quindi, ha proseguito, è "meglio sospendere" il provvedimento "in attesa di ulteriori approfondimenti, perché il nostro obiettivo è e rimane quello di contrastare la grande evasione e il fenomeno inaccettabile, ad esempio, di chi si finge nullatenente ma gira con il suv o va in vacanza con lo yacht, senza però per questo vessare con norme invasive le persone comuni'”.
Il redditometro non è una novità: istituito nel 2010 dal governo Berlusconi, poi rivisto da quello Renzi nel 2015 e decaduto nel 2018, era stato sollecitato negli ultimi mesi dalla Corte dei conti, per cercare di arginare una tendenza all’evasione fiscale fra le più alte del mondo occidentale.
Il nuovo redditometro targato centro destra terrebbe conto di una lunghissima serie di parametri come consumi di generi alimentari, bevande, abbigliamento, le spese per il mutuo o per pagare l'affitto, i costi per la casa, ma anche gli investimenti, le spese per i mobili, le spese per la sanità e quelle per i trasporti e tutte le spese per l’istruzione. Un controllo capillare che ha fatto parlare i critici, e sono molti in Italia, di una sorta di “grande fratello fiscale”, con l’aggravante che, se il reddito stimato accertato superasse di almeno del 20 per cento quello dichiarato, dovrebbe essere il contribuente a dimostrare l’entità effettiva delle spese per evitare sanzioni o un procedimento.
Il sistema è quindi stato immediatamente stroncato proprio dagli stessi leader della maggioranza, che si sono visti presentare dal proprio governo una misura impopolare, soprattutto fra gli elettori del centro destra, a due settimane dalle elezioni europee.
Lo stato - ha detto il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini - non deve perseguire in base alle supposizioni”. "È un simbolo del fisco che opprime – ha aggiunto il ministro degli Esteri Antonio Tajanie bisogna abolirlo".
Attacca anche l’opposizione, con la leader del Pd, Elly Schlein che ha parlato del “solito disastro del governo che si divide su tutto”, mentre Matteo Renzi ha ricordato che il redditometro fu introdotto “nel 2010, quando la premier era ministra del governo Berlusconi: una misura illiberale – ha aggiunto - basata su semplici presunzioni di spesa, che costringeva il cittadino all’onore della prova”.
Per ora il decreto è congelato in attesa di modifiche, ma tutto lascia pensare che la norma sarà o dimenticata o riscritta da capo, per far emergere quell’immagine di “Fisco amico dei cittadini”, che era uno dei pilastri della campagna elettorale del centro destra e che il redditometro non sembra proprio poter interpretare.

Alessandro Martegani