Foto: Reuters
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Sale lentamente di tono il confronto fra le regioni e il governo sul piano vaccinale: pur senza lanciare accuse o polemiche, i governatori e l’esecutivo hanno iniziato da giorni un botta e risposta sulle responsabilità di ritardi e disfunzioni nella campagna vaccinale.
I principali accusati sono esterni, vale a dire l’Unione Europea e le case produttrici che stanno fornendo meno vaccini del previsto, ma accanto alle forniture, un problema innegabile e che evidentemente sta rallentando la campagna, ci sono però anche dei motivi di discussione interni.
Il piano vaccinale è stato completamente riscritto dal nuovo commissario per l’emergenza, generale Figliuolo, ma le regioni chiedono garanzie principalmente su due temi: la fornitura dei vaccini, e il personale per accelerare il ritmo. Il presidente della conferenza delle regioni e dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini ha detto chiaramente che nella sua regione “il problema non è l'organizzazione ma le dosi che non erano in numero sufficiente per vaccinare tutti quelli che saremmo in grado di poter fare”, ma il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, accanto ai problemi delle forniture, ha anche sottolineato come nella regione siano arrivati solo 50 dei 300 vaccinatori promessi dal governo.
Dall’altra parte però ci sono anche casi di inefficienze nelle amministrazioni, su tutti quello della Lombardia, regione che, dopo aver addirittura chiesto di ricevere una percentuale di vaccini o più alta rispetto alle altre, in virtù della sua rilevanza economica, si è scoperta incapace di organizzare la campagna in modo efficiente, con immagini di centri vaccinali vuoti per le mancate convocazioni, tanto da spingere il governatore Attilio Fontana a decapitare i vertici della società che gestisce la rete informatica.
La Lombardia però non è l’unica regione che lamenta inefficienze, tanto fa far pensare al governo, che ha posto l’accelerazione della campagna fra le priorità, alla formazione di una Task Force, con un meccanismo automatico che dovrebbe permettere allo Stato d’intervenire dove le regioni non siano in grado di tenere il passo. Un’idea che non ha riscosso troppi consensi fra i governatori, così come quella di affidare prenotazioni e gestione informatica alle Poste.
In generale le regioni sono accusate da Roma di andare in ordine sparso, anche a causa delle le differenze sulle precedenze date ad alcune categorie da alcune amministrazioni, che però a loro volta accusano Roma di aver imposto le priorità, rallentando l’organizzazione. Mario Draghi però punta a uniformare la gestione della campagna vaccinale a livello nazionale, e l’impressione è che voglia prendere in mano il timone sottraendo alle regioni perlomeno parte controllo.
“Per fare 500 mila vaccini anti Covid al giorno – ha però replicato il governatore della Liguria Giovanni Toti - bisogna avere 500 mila dosi al giorno, cosa da cui siamo lontani: di questo dovrebbe occuparsi il governo”.

Alessandro Martegani