Un bagno per le donne, uno per gli uomini, e uno per chi non si riconosce nei due generi. È questa la soluzione attuata dall’università per stranieri di Siena, dove il rettore Tommaso Montanari ha annunciato che, “accanto ai bagni binari, nella struttura ci sono anche i bagni inclusivi”.
I bagni questione sono contrassegnati dal simbolo dei transgender, una via di mezzo fra la figurina tipica dei bagni per donne e quella dei bagni per uomini.
L’iniziativa punta a tutelare la diversità ed evitare discriminazioni, ma non sono mancate le critiche, sia da parte dei conservatori che non concepiscono un mondo diverso da quello che prevede la rigida distinzione fra uomo e donna, sia da parte di esponenti del mondo LGBTQ+, che propongono invece di unificare tutti i bagni per evitare ogni tipo di differenziazione.
Si tratta, comunque, di un problema reale, come testimonia il recente caso di una scuola di Palermo, dove è stato vietato a una studentessa di utilizzare i servizi igienici perché transessuale, e dove la preside, anziché difenderla, ha minimizzato l’episodio affermando che la ragazza stava “cercando visibilità”, e riferendo di “lamentele mosse dai genitori di altre studentesse che ci hanno fatto sapere di non gradire che le loro figlie vadano nello stesso bagno in cui va un uomo”.
In tempi meno recenti era scoppiata una polemica a fra la deputata Elisabetta Gardini e la deputata trans Vladimir Luxuria, che si serviva del bagno delle donne alla Camera.
Non si tratta però di un tema nuovo: in altri paesi i bagni per transessuali ci sono già da tempo, e anche in Italia ci si stava già pensando: si tratta di una soluzione ad esempio presa in considerazione all’interno di un vademecum destinato alle scuole del Lazio, e anche a Reggio Emilia, Comune, Arcigay e altre istituzioni avevano firmato un protocollo che, tra le altre cose, prevedeva l’apertura di bagni per i transessuali.

Alessandro Martegani