Foto: EPA
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Tra la fine del 2022 e l'inizio del 2023 lo staff di Biden trovò una ventina di documenti governativi riservati in un suo vecchio ufficio e nel garage della sua casa di Wilmington, in Delaware, in momenti diversi. Li consegnò agli Archivi nazionali, che segnalarono il ritrovamento all'FBI. Quei documenti, che facevano riferimento agli anni della sua vicepresidenza, non avrebbero dovuto trovarsi lì, anche se non è così raro che accadano cose del genere. Indagini simili in quei mesi coinvolgevano anche Donald Trump e Mike Pence. Il punto è: c'era del dolo, nella sottrazione dei documenti, o è stato un errore? Per fare chiarezza è stata avviata un'indagine federale, i cui risultati sono stati resi noti ieri: nessun dolo, quindi nessun processo, ma Biden ha seri problemi.
Il procuratore speciale nominato ad hoc, Robert Hur, Repubblicano che aveva lavorato al dipartimento della Giustizia durante la presidenza Trump, ha enfatizzatp la piena collaborazione di Biden alle indagini, affermando che non ci sono prove sufficienti per dimostrare che volesse violare la legge, quindi non ci sono nemmeno margini per formalizzare delle accuse nei suoi confronti. Per poi aggiungere quello che potrebbe essere il primo tassello di un tema che potrebbe costargli caro, da qui alle elezioni. Hur ha scritto che sarebbe complicato ottenere una condanna, perché Biden «apparirebbe alla giuria com'è apparso a noi, cioè come un uomo empatico, benintenzionato e anziano, con qualche problema di memoria».
Quello che avrebbe dovuto rivelarsi come un'arma a favore di Biden rischia di tornare indietro come un boomerang. Il rapporto, infatti, sostiene anche che le «ridotte capacità» di Biden e i «limiti significativi» della sua memoria siano emersi soprattutto durante un'audizione con gli investigatori. Questo rapporto doveva essere una vittoria, scagionandolo da ogni cosa - come in effetti accaduto -, ma rischia di diventare un incubo.
Valerio Fabbri