Foto: Reuters
Foto: Reuters

Il regime iraniano ha fatto impiccare l’ex viceministro della Difesa, Alireza Akbari, con l’accusa di spionaggio. Nel marzo del 2019 venne arrestato dalle autorità iraniane mentre si recava nel Regno Unito, accusato di essere uno dei più “importanti agenti dell’intelligence britannica”. L’uomo venne proclamato colpevole di aver rivelato segreti di Stato e “di aver danneggiato la sicurezza interna ed esterna del Paese attraverso la trasmissione di informazioni”. Così la Corte Suprema iraniana confermò per lui la condanna a morte.

L’Ufficio degli esteri britannico tentò svariate volte di fornire assistenza al suo cittadino, in quanto Akbari aveva anche la nazionalità inglese, ma il regime iraniano rifiutò le richieste dal momento che non riconosce la doppia cittadinanza per i suoi cittadini. Londra ha condannato l’impiccagione come un “atto barbaro” che “merita una ferma condanna e non resterà senza risposta”. Anche il Primo ministro si è sbilanciato sull’accaduto, in quanto “sconvolto per l’impiccagione del cittadino anglo-iraniano” definendolo “un atto codardo, compiuto da un regime barbaro senza alcun rispetto per i diritti umani del proprio popolo”. Alle reazioni di Londra si sono affiancate anche quelle degli Stati Uniti che si erano associati alla richiesta di sospendere l’esecuzione capitale dell’uomo.

La Repubblica islamica dell’Iran è così accusata di “utilizzare i prigionieri con doppia cittadinanza come misura di pressione o per scambi di detenuti”, azione definita “diplomazia degli ostaggi”.

B.Ž.