Foto: Reuters
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Per la Cina è finita l’era del figlio unico. Dal 1979 al 2016, infatti, ogni famiglia del paese poteva contare solo su un figlio, come deciso dal partito comunista per ridurre la sovrappopolazione del paese e far sì che si andasse verso una crescita zero. A volerlo era stato il successore di Mao, Den Xiaoping che per legge impose alle coppie questa scelta che negli anni creò non pochi problemi tra la popolazione inducendo pratiche di selezione della propria genia a favore dei maschi, che soprattutto per la cultura delle campagne erano preferibili alle figlie femmine.

Tutto ciò sul lungo termine ha creato un disequilibrio con un significativo invecchiamento della popolazione, che si è in qualche modo cercato di colmare nel 2016 quando era stato permesso alle coppie di avere fino a due figli. Un’iniziativa che non aveva portato però ai risultati sperati, visto che le coppie hanno continuato a preferire di procreare un solo figlio a causa dei costi ingenti per garantirgli una buona educazione e un livello socio-economico decente, soprattutto nei grandi centri urbani.

Ora il partito cerca di rimediare alzando il numero a tre, e sperando che le famiglie più prolifiche a questo punto scelgano di raggiungere questa quota che potrebbe portare ad un ringiovanimento della popolazione che in base all’ultimo censimento del 2020 registra un ritmo di crescita annuale del 0,53% rispetto allo 0,57% del decennio precedente, con il tasso di crescita più lento dal 1953 quando si iniziò a censire la popolazione. Inoltre lo scorso anno le nascite hanno visto una riduzione del 20% rispetto al 2019, non lasciando presagire nulla di buono.

Barbara Costamagna