Nella 25-esima conferenza sul clima, dopo due settimane di febbrili negoziati nella capitale spagnola, non si è trovata "soluzione" sulla regolazione globale del mercato del carbonio, il nodo più difficile da sciogliere. Riguarda l'articolo 6 degli Accordi di Parigi, che cerca di mettere ordine, appunto nel mercato del carbonio, in modo da evitare il doppio conteggio. Così com'è formulato ora, si rischia che sia il paese venditore che quello acquirente conteggino la quantità di emissioni scambiata. Restano comunque altri due nodi più importanti da sciogliere: il progetto denominato "Ambizione" ovvero l'aumento da parte di ciascun paese degli impegni nazionali per il taglio di gas serra entro il 2030 per altro sottoscritti nel 2015 a Parigi e infine il sistema di aiuti per le perdite e i danni subiti dai paesi vulnerabili (loss and damage). Pochi, per non dire insignificanti anche i progressi compiuti su quei meccanismi finanziari che dovrebbero aiutare i paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico, che rischiano di finire sommersi per l'innalzamento dei mari o devastati dalla siccità. Le posizioni dunque restano distanti e le questioni più critiche sono state rinviate all'appuntamento di Bonn nel giugno 2020.
Il segretario generale dell'ONU, Antonio Guterres, si è detto "deluso" dai risultati, affermando che "la comunità internazionale ha perso un'opportunità importante per mostrare maggiore ambizione" nell'affrontare la crisi dei cambiamenti climatici.
La COP25 si è conclusa con "i paesi più inquinanti - Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Brasile, Arabia Saudita e altri - che si sono sottratti alla loro responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra, bloccando progressi significativi a Madrid", ha affermato il WWF in una nota.

Corrado Cimador

Foto: EPA
Foto: EPA