I russi hanno aperto la porta all'attuale presidente Putin di rimanere al potere fino al 2036 approvando i cambi costituzionali che gli permetteranno di correre per la presidenza per altre 2 volte. La commissione elettorale centrale ha reso noto che con il cento per cento dei voti scrutinati il SI ai cambi ha raggiunto il 77,9 per cento mentre il NO ha avuto il 21,2 per cento. I critici al regime hanno affermato che il voto e' stato falsificato su scala industriale. L'affluenza alle urne, secondo quanto riferito dalla commissione elettorale, si e' attestata al 64 per cento degli aventi diritto. Il passaggio delle riforme costituzionali dara' la possibilita' a Putin di ricandidarsi per altri 2 mandati presidenziali di 6 anni ciascuno. Putin ha gia' dichiarato di non volerlo fare, aggiungendo che e' particolarmente rilevante la possibilita' teorica di agire in tal senso. In realta' gli emendamenti erano gia' in vigore perche' votati dai parlamenti regionali e dalla Duma moscovita, ma la loro approvazione da parte della popolazione li legittima ulteriormente. Tra le novita' spiccano l'indicizzazione delle pensioni, la preminenza della Costituzione russa sulla legge internazionale, l'impossibilita' di cedere a Stati stranieri un territorio facente parte della Federazione, la possibilita' per la Corte Costituzionale di vagliare, su richiesta del presidente, le leggi approvate in Parlamento e l'annullamento dei mandati presidenziali serviti dal Capo di Stato in carica o da ex presidenti che, qualora candidati e vincenti nel 2024, serviranno il loro primo mandato. L'opposizione ha avuto difficolta' nel mobilitarsi contro il referendum e si e' presentata divisa invitando gli elettori al boicottaggio mentre altri hanno spinto per l'espressione di un voto negativo. Il voto favorisce Putin per 3 motivi, vale a dire che e' riuscito a legittimare la sua Costituzione, ha rinnovato il contratto sociale con la popolazione ed e' riuscito a imbrigliare la classe politica al potere. Le sfide ora sono molte. Prima delle quali il sofferto rapporto con l'Unione Europea segnato dalle sanzioni, quindi le relazioni con Washington legate all'esito del voto statunitense in programma nel prossimo novembre, e inoltre la crisi economica, i suoi postumi e un'eventuale recrudescenza delle tensioni sociali e del radicalismo islamico.

Franco de Stefani

Foto: Reuters
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