In nero i Paesi dove la situazione è “molto grave” (11,88%), in rosso “difficile” (28,71%), arancione “problematica”, giallo “piuttosto buona” (19,80%) e giallo chiaro “buona” (6,93%).(Foto: RSF)
In nero i Paesi dove la situazione è “molto grave” (11,88%), in rosso “difficile” (28,71%), arancione “problematica”, giallo “piuttosto buona” (19,80%) e giallo chiaro “buona” (6,93%).(Foto: RSF)

Prime Norvegia, Finlandia, e Svezia, in coda Cina, Turkmenistan, Corea del nord ed Eritrea. Reporter senza Frontiere, organizzazione che da anni si occupa di tutela dei giornalisti e libertà di espressione, ha pubblicato anche quest’anno la classifica mondiale sulla libertà di stampa, con qualche conferma, soprattutto in coda e in testa, ma anche delle sorprese in un anno in cui sulla libertà dei giornalisti ha inciso, accanto a fenomeni conosciuti, anche la pandemia.
La classifica prende in considerazione molti fattori, dalle pressioni politiche, alle minacce da parte della criminalità, dall’effettiva possibilità di accedere alle fonti, a situazioni estreme come lo stato di guerra.
In generale l’esercizio del giornalismo è “gravemente ostacolato” in 73 dei 180 Stati nella classifica stabilita da RSF, e “limitato” in altri 59, vale a dire che in quasi tre stati su quattro la libera stampa è in qualche modo ostacolata. La situazione è evidente dalla mappa pubblicata da RSF, in cui il colore giallo chiaro, che indica una quasi assoluta libertà, è limitato a 12 paesi, con un calo dell’uno per cento in un anno.
In molti stati le cose sono peggiorate anche a causa della pandemia, utilizzata come pretesto per impedire ai giornalisti di accedere alle fonti d’informazione, con il rischio che gli spazi rimangano chiusi una volta terminata l’emergenza. Una situazione riscontata in Asia e Medio Oriente, ma anche in Europa, perfino nel “blocco nordico” che brilla per attenzione alla libertà di espressione dei media.
Ne è un esempio l’Italia, paese che figura al 41 esimo posto, con problemi relativi alle minacce ai giornalisti da parte della criminalità organizzata, cronisti che lavorano in modo precario e quindi ricattabili, problemi strutturali per le concentrazioni editoriali, ma dove si sono anche verificati attacchi ai giornalisti nelle manifestazioni dei negazionisti nel corso della pandemia e si sono registrate difficoltà nell’accesso ai documenti di estrema urgenza emanati dal governo.
Un po’ meglio dell’Italia ha fatto la Slovenia, che figura al 36 esimo posto, quattro posizioni in meno rispetto al 2020, e dove, dice RSF “nonostante le pressioni delle ONG internazionali per la libertà di stampa, i problemi rimangono: la criminalizzazione della diffamazione non è stata rimossa e politici in vista hanno continuato a sottoporre i media a querele e ad attacchi calunniosi”. Tendenze che, dice il rapporto, “sono state ulteriormente accentuate con il governo guidato da Janez Janša”, che “ha cercato d’ indebolire l'indipendenza editoriale e finanziaria della televisione pubblica e dell'agenzia di stampa nazionale”.
In generale l’Europa, dice il rapporto, resta però il continente più favorevole alla libertà di stampa, nonostante un aumento della violenza contro i giornalisti, non solo investigativi, nel corso delle manifestazioni di protesta.
L’Unione europea ha poi reagito con lentezza nel “contrastare la morsa del regime di Viktor Orbán sui media” o nel “rallentare le misure liberticide in alcuni altri Paesi dell’Europa centrale”.
Sempre in Europa si segnala in molti paesi la pressione giudiziaria sui giornalisti, che spinge purtroppo molti all’autocensura. Le aggressioni e le querele contro i giornalisti sono quasi raddoppiate in Germania, Francia, Italia, Polonia, Grecia, Serbia e Bulgaria.
Guardando al resto del mondo, gli Stati Uniti sono dietro all’Italia, anche se in risalita dopo l’avvicendamento alla Casa Bianca che ha ristabilito rapporti costruttivi fra presidenza e stampa. Vengono sottolineati segnali di peggioramento della situazione in Brasile, dove il presidente Bolsonaro non esita a calunniare pubblicamente i giornalisti, ma anche di India, Messico e Russia.
Non cambiano, anzi peggiorano purtroppo, le condizioni nei paesi in fondo alla classifica, come in Cina, 177esima, dove continuano censura, sorveglianza e la propaganda su Internet, il Turkmenistan, la Corea del Nord e l’Eritrea: “paesi che mantengono il controllo assoluto sulle informazioni”.
Il rapporto registra anche “una preoccupante diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti dei giornalisti”: una tendenza che, afferma RSF, si può combattere solo con “il rigore giornalistico e il pluralismo, che consentono di contrastare la disinformazione”.

Alessandro Martegani