Foto: AP
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L'Unione europea resta vincolata al processo di allargamento, però essere essa stessa non è oggi in grado di integrare nuovi paesi membri. “Sarò franco”, ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in conferenza stampa al termine del summit, “in questo momento non siamo ancora pronti”. Così ai sei paesi in questione, cinque postjugoslavi più Albania, non resta che andare avanti con le riforme interne che rimangono la condizione di fondo come ha ribadito a Brdo Angela Merkel, e sperare che nel frattempo la casa europea venga ristrutturata. In Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia, Macedonia, Kosovo e Albania l'euroentusiasmo sta cedendo visibilmente e i Ventisette se ne rendono conto. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha ammesso che soprattutto il mancato avvio del negoziato finale con Albania e Macedonia si sta ripercuotendo sul prestigio dell'Unione non soltanto nei due paesi direttamente interessati, ma in tutta la regione. La Macedonia che ha persino corretto il proprio nome per soddisfare i capricci della Grecia, non soltanto non è stata premiata come le era stato promesso, ma è ripiombata nella stessa situazione di prima, ricattata questa volta dalla Bulgaria che contesta la sua identità linguistica.
A Brdo Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno organizzato due incontri a quattro: uno con i premier bulgaro e macedone, e un altro con i leader di Serbia e Kosovo. Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, ha dichiarato di sapere che senza risolvere i rapporti con il Kosovo la Serbia non potrà entrare nell'Unione europea, il premier kosovaro, Albin Kurti, si aspettava una dichiarazione finale più soddisfacente,tuttavia l'Unione europea resta il nostro destino”, ha detto. Il suo omologo macedone, Zoran Zaev, auspica invece che l'Unione europea faccia qualcosa. Per il momento i Ventisette vogliono stimolare le riforme interne nei paesi candidati, formalmente solo quattro di essi hanno questo status, Bosnia e Kosovo ancora no, con un grande piano di investimenti per un valore iniziale di nove miliardi di euro che saranno in seguito arrotondati a trenta.
Per la Slovenia l'allargamento è uno dei temi centrali del suo semestre di presidenza dell'Unione, non ha però insistito sull'idea iniziale di ammettere i sei ancora fuori entro il 2030. Il premier, Janez Janša, ha comunque detto che il negoziato con questi paesi e la soluzione delle questioni bilaterali devono essere due processi paralleli.


Boris Mitar