Foto: Wikipedia
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Dopo 140 gare, disputate in 18 anni, Sara Gama ha deciso di dare l'addio alla maglia azzurra. L'ormai ex capitana della Nazionale italiana, qualche giorno fa, ha disputato il suo ultimo match per la rappresentativa dell'Italia. Una storia lunga, dunque, che iniziò il 17 giugno 2006, quando aveva 17 anni ed il Ct di allora, Pietro Ghedin, la fece esordire a 5 minuti dal termine di una partita contro l'Ucraina a Mariupol.

In questa ultima gara le compagne hanno voluto salutarla indossando parrucche con i riccioli, marchio di fabbrica della calciatrice triestina; uno sketch che "racconterò per anni, ci abbiamo scherzato tutta la sera" ha affermato la calciatrice, divenuta un simbolo per tutte le ragazze che vogliono avvicinarsi al mondo del calcio, tanto che la Mattel ha voluto dedicarle una Barbie che riproduce le sue fattezze.

Nel 2019, anno in cui la nazionale femminile approdò ai quarti dei Mondiali, Gama fu la capitana in campo e fuori, ed alla fine della competizione iridata, invitata con il resto della squadra al Quirinale, davanti al Presidente Mattarella, ricordò a tutti e a tutte che il numero tre non era solo il suo numero di maglia, ma anche l’articolo più bello della Costituzione italiana, che sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

È nel nome di quella battaglia culturale e sociale che la giocatrice, che continuerà la sua carriera nella Juventus, proseguirà a lottare, come lei stessa ha dichiarato in questi giorni. Del resto, non si è mai tirata indietro quando c'è da battagliare, né in campo né nel sociale, dove è stata sempre in prima linea. Lei stessa ha spiegato: “Ho visto compagne lasciare la Nazionale per accettare offerte di lavoro vere: l’idea era che una ragazza non potesse vivere giocando a calcio. O se sì, per quanto? Volevo far sì che non succedesse più. Simbolo però ti ci fanno diventare gli altri, riconoscendoti un ruolo. Io ho solo cercato di espormi per ciò in cui credevo e se lo fai capita di scontrarti contro qualcuno o contro qualcosa: uomini e donne ancora non hanno le stesse opportunità e in questo le quote rosa forse servono per entrare in un mondo. Ma non basta: bisogna incentivare la formazione di dirigenti donne. Poi sta a noi andarci a prendere ciò che meritiamo”.

Davide Fifaco