Foto: Reuters
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È stato un grande gesto. Un gesto che ogni paese in guerra desidererebbe. Lo ha ricordato proprio il premier Janez Janša, che ha sottolineato come una simile visita sarebbe stata gradita in Slovenia durante l'assedio dell'Armata jugoslava. Alla fine saranno gli unici che saranno andati in visita dal presidente Volodymyr Zelensky, ma sono comunque stati i primi. Intanto un'Europa mai così compatta sembra decisa a voler aiutare l'Ucraina che resiste.

Ad Est l’invasione russa fa più paura che da altre parti. Confini aperti senza remore per i profughi, proprio in quei paesi che fino a ieri ponevano più di qualche freno all’accoglienza dei migranti, visto che avevano innalzato barriere, schierato l’esercito e tirato chilometri e chilometri di filo spinato. L’idea di dover difendere l’Europa non sembra cambiata, tanto che si è spiegato che qui si tratta di accogliere donne e bambini, persone che comunque arriverebbero dal nostro stesso contesto culturale, religioso e storico.

Sta di fatto che i profughi oramai sono tra noi. Sono arrivati anche nelle nostre scuole. Due bambine questa settimana hanno preso posto tra i banchi della de Castro di Pirano. Quando la più piccola è giunta in classe si è trovata i ragazzini e maestre con un cartellino con il nome scritto in alfabeto latino e cirillico. Il giorno successivo, visto che aveva il compleanno, i compagni di classe l’hanno anche riempita di piccoli regalini. Per entrambe in dono libri, quaderni, matite e altro materiale scolastico. Intanto gli alunni russi e ucraini presenti da anni a scuola si stanno prodigano di far loro da traduttori. Piccoli gesti per farle sentire a casa. È il modo giusto di accogliere i bambini che scappano dalla guerra, anche perché in questi anni qualcuno a scuola non ci è proprio arrivato. Basti pensare che in una fredda notte del dicembre scorso Rahima, che aveva solo 10 anni, è morta annegata, trascinata via dalla corrente, mentre tentava di guadare il Dragogna con mamma e fratelli. È accaduto proprio sotto le finestre di casa nostra, ma quella volta si preferiva voltare la testa dall’altra parte. Speriamo che ora l’accoglienza non sia passeggiera e solo frutto del pathos, ma che rappresenti un vero e proprio cambio di atteggiamento nei confronti di tutti coloro che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni al di là della loro provenienza, religione o tonalità della pelle.

Stefano Lusa