Foto: EPA
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I sondaggi dicevano che Viktor Orbán in Ungheria avrebbe dovuto vincere solo di misura e che i suoi avversari gli erano oramai con il fiato sul collo. L’idea dei detrattori del premier era quella che più che per un programma si dovesse andare a votare contro Orbán. Il progetto è sembrato reggere sinché i suoi avversari non hanno cominciato a dividersi e tirare ognuno acqua al proprio mulino e finché non è cominciata la guerra in Ucraina. Orbán ha detto chiaramente che bisognava pensare prima a se stessi; e gli ungheresi hanno metaforicamente confermato che l’importante è avere “l’aria condizionata” quest’estate. Così quella di Orban non è stata solo una vittoria, ma un vero e proprio trionfo per lui e per il suo modello di “democrazia autoritaria”.

In Francia si vota domani. Per veder eletto il nuovo presidente si dovrà attendere il ballottaggio. Lì se la vedranno molto probabilmente il presidente uscente Emmanuel Macron e Marine Le Pen, in quella che sarà la riedizione dello scontro di 5 anni fa. All’epoca Macron vinse perché i francesi andarono a votare contro la Le Pen. Era accaduto anche nel 2002 quando i transalpini ridiedero la presidenza a Jacques Chirac dicendo in massa no al padre della Le Pen. Jean-Marie all’epoca ottenne il quasi il 18% dei voti, sua figlia quindici anni dopo ne ha incassato praticamente il doppio. Proprio lei è il volto di una nuova destra che ha in parte accantonato i discorsi più beceri del passato e che di elezione in elezione sta conquistando consensi e sta spostando i paletti del “politicamente corretto”.

I sondaggi dicevano che Orbàn sarebbe stato messo in difficoltà e dicono che l’appello a votare contro la Le Pen potrebbe forse bastare anche questa volta per far vincere Macron. Il caso ungherese ci insegna che non ci si deve comunque fidare troppo, visto che spesso le rilevazioni demoscopiche non riescono ad intercettare gli umori della parte più profonda del paese, quella che vota senza dichiararlo per quelli che sono i valori legati a Dio, Patria e famiglia. In ogni modo quella di chiedere agli elettori di “votare contro” sembra essere oramai una strategia sempre meno vincente.

Stefano Lusa