Quelli che offriamo non sono contenuti commerciali. L’ambizione non è quella di arrivare al grande pubblico. Avremmo potuto farlo, ma le scelte strategiche sono state diverse e non le abbiamo fatte noi. La storia di Radio Capodistria narra di una grande stazione che aveva due obiettivi: fare propaganda per il regime e raccogliere vagonate di introiti pubblicitari. Per realizzare ciò c’erano uomini, soldi e soprattutto una diffusione capillare del nostro segnale. Crollato il regime la propaganda è sparita per essere sostituita da quello che oggi è un moderno servizio pubblico che ci fa sentire orgogliosi di fare i giornalisti. Peccato che con il comunismo sia sparita anche la diffusione del nostro segnale.

Prima se ne è andata la rete FM che diffondeva Radio Capodistria in Italia, poi il trasmettitore in onde medie, che ora funziona con la potenza di un frullatore. Le scuse sono sempre le stesse: “costate troppo, siete in troppi”. Un mantra che viene ossessivamente ripetuto ogni volta che si parla della nostra emittente.

Negli anni Novanta durante una pausa dei lavori parlamentari un funzionario di partito si avvicinò a me, giovane giornalista, e mi disse: “Senti, ma non sarebbe meglio che voi diventaste autonomi e vi arrangiaste da soli sul mercato”. Gli risposi che se non avessero smantellato la rete di ritrasmissione avrebbe potuto essere anche una idea.

Da allora abbiamo cominciato a “morire a rate” e siamo entrati nell’epoca di quelli che un nostro vecchio collega definiva i “posti tombino”: chi andava in pensione non veniva sostituito e gli altri si sobbarcavano il suo lavoro. È da trent’anni che lo facciamo, mantenendo invariato o quasi il programma, ma anche innovando e lavorando sulle piattaforme multimediali. Radio Capodistria oggi è diventata un punto di riferimento per l’informazione, tanto che spesso e volentieri i nostri contributi vengono ripresi dalla stampa locale, nazionale ed internazionale.

Non siamo ingenui sappiamo che la strategia è chiara: Radio Capodistria va chiusa. Ci potranno essere arretramenti strategici, parziali cambi di rotta, ma la linea tracciata sin dai primi anni Novanta è sempre la stessa. Sentirsi dire dai vertici della RTV di Slovenia che non facciamo programmi appetibili per il grande pubblico è offensivo ed irritante. Noi di programmi appetibili ne facciamo e la conferma ci viene ogni volta che leggiamo sui social un commento ad un nostro articolo e soprattutto ogni volta che sentiamo la radio di un bar o di un circolo sportivo sintonizzata sulle nostre frequenze. Non ci nascondiamo dietro un dito sappiamo che quello che facciamo potrebbe essere migliore e anche più appetibile per il grande pubblico, il problema è che non siamo nelle condizioni di poterlo fare e non per colpa nostra.

Stefano Lusa

Foto: AP
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