Foto: Radio Maribor/Vesna Martinec
Foto: Radio Maribor/Vesna Martinec

“Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale”.
La Chiesa decide di entrare nel dibattito sul suicidio assistito, dopo la presentazione di progetti di legge e raccolte di firme in varie regioni per normare e velocizzare le procedure in materia.
Proprio in Friuli Venezia Giulia ha iniziato il suo percorso in Consiglio regionale una proposta di legge d’iniziativa popolare sulle “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”, sostenuta da settemila firme: l’obiettivo è di arrivare all’approvazione entro novembre, e dare concreta applicazione alla sentenza della Corte costituzionale del 2019, che aveva sancito la non punibilità di chi aiuta al suicidio, se in presenza di precise circostanze, come condizioni di vita insostenibili del malato, che rendono "ingiusta e irragionevole" la punizione per chi aiuta a morire.
Una proposta simile, che regolamenta l’aiuto medico alla morte volontaria, è stata presentata al Consiglio regionale del Veneto, e anche in Lombardia e Toscana è stato raggiunto il numero di firme necessarie per presentare la proposta di legge elaborata dall’Associazione Luca Coscioni.
A questa impostazione si oppongono però i vescovi e la Commissione regionale per la pastorale della salute della Conferenza episcopale Triveneto, che in una nota ricordano come “il primo compito della comunità civile e del sistema sanitario sia assistere e curare, non anticipare la morte”.
“La deriva a cui ci si espone – aggiungono - è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto piuttosto il prendersi cura della persona malata”.
"Si rimane molto perplessi - spiegano i vescovi - di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie. Destano anche preoccupazione – concludono - i pronunciamenti di singoli magistrati che tentano di riempire spazi lasciati vuoti dal legislatore”.

Alessandro Martegani