Quello che venne annunciato l’8 settembre del 1943, 80 anni fa, dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate, tramite Radio Algeri, e subito dopo da Pietro Badoglio, maresciallo d’Italia e capo del governo dopo l’arresto di Mussolini pochi giorni prima, è noto come armistizio, ma si trattò di fatto di una resa incondizionata, che cambiò il corso della guerra, ma anche della storia e gli equilibri geopolitici nel Mar Mediterraneo.

La firma dell'armistizio a Cassibile
La firma dell'armistizio a Cassibile

L’armistizio “corto”, chiamato così per distinguerlo da quello “lungo” firmato il 29 settembre dallo stesso Eisenhower e da Badoglio su una nave al largo di Malta, più articolato e con l’impegno per l’Italia di dichiarare guerra agli ex alleati tedeschi, era stato siglato il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, e avrebbe dovuto rimanere segreto fino al 12 settembre per dare il tempo agli italiani di prepararsi alla reazione tedesca, ma Eisenhower anticipò l’annuncio, mettendo Badoglio di fronte al fatto compiuto e innescando l’altro l’operazione di occupazione militare dell’Italia da parte della Germania nazista e la liberazione di Mussolini.
I piani tedeschi in realtà erano pronti da tempo: Hitler non era all’oscuro delle intenzioni di Roma, e per alcuni giorni molti militari si trovarono fra due fuochi, bersaglio degli ex alleati, ma anche di alcuni reparti alleati che non erano a conoscenza degli sviluppi o non si fidavano degli italiani.
L’otto settembre segnò la fine del patto fra Roma e Berlino, e l’avvio di un’alleanza con il blocco guidato dagli Stati Uniti che dura ancora oggi, la fine del sogno dell’Italia imperiale voluta da Mussolini, che molti italiani avevano sostenuto, ma anche l’avvio del tramonto della monarchia.

Vittorio Emanuele III
Vittorio Emanuele III

Già indebolita dalla decisione di piegarsi a Mussolini dopo la marcia su Roma e poi di avallare un abbraccio mortale con la Germania, l’immagine dei Savoia fu definitivamente compromessa dalla fuga precipitosa nella notte fra l’8 e il 9 settembre: anziché rimanere a Roma alla guida del paese, il re Vittorio Emanuele III decise di fuggire insieme alla regina Elena, al principe ereditario Umberto, al maresciallo Badoglio e allo Stato maggiore al completo. Andò a Ortona, dove una piccola folla di funzionari e ufficiali si era radunata per poter salire con il re sulla corvetta "Baionetta" e riparare a Brindisi, città che in quei giorni non era controllata né dai tedeschi né dagli alleati.
Più che di un trasferimento per garantire la guida del paese, si trattò di una fuga precipitosa, che lasciò l'esercito italiano allo sbando, esposto alle dure ritorsioni dei tedeschi, come l’eccidio di Cefalonia. Nei giorni immediatamente successivi all'armistizio, i tedeschi disarmarono e catturarono in Italia e all’estero circa 800.000 soldati italiani: la gran parte furono deportati nei lager.
La firma dell’otto settembre non fu affatto, come qualcuno aveva sperato, la fine della guerra: il paese, con la nascita della Repubblica sociale, stato fantoccio guidato da Mussolini, visse una guerra civile fra coloro che rimasero fedeli al fascismo e agli alleati nazisti, e chi invece decise di schierarsi con gli alleati e agli antifascisti per liberare e il paese dai nazi-fascisti.
Le forze antifasciste diedero vita poche ore dopo l’armistizio, il 9 settembre, al Comitato di Liberazione Nazionale, guida politica e militare per un anno e mezzo della Resistenza fino alla liberazione del paese, il 25 aprile del 1945.

Alessandro Martegani