Foto: Reuters
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Ilaria Salis, l'insegnante di 39 anni, in carcere in Ungheria da 13 mesi (dal febbraio 2023), con l'accusa di aver aggredito due esponenti di estrema destra resta in cella: il tribunale di Budapest ha respinto la richiesta di passare ai domiciliari presentata dai legali della docente milanese.

Salis è stata nuovamente portata in tribunale con le manette ai polsi, ceppi e catene alle caviglie e una catena tirata da un agente come un guinzaglio esattamente come accaduto nell'udienza del 29 gennaio.

Il giudice ha deciso per la custodia in carcere a causa del possibile pericolo di fuga. La difesa di Salis ha annunciato il ricorso in appello ed ha impugnato il provvedimento del tribunale. "In Ungheria funziona che subito dopo la lettura in aula del provvedimento, la difesa deve dichiarare se lo impugna o meno e l'avvocato ungherese l'ha fatto, l'impugnazione formalmente è già stata presentata" spiega l'avvocato Eugenio Losco presente all'udienza. La prossima udienza è fissata per il 24 maggio, "ma al momento non ci sono tante speranze che questa misura possa essere cambiata, visto l'atteggiamento del tribunale. C'è il rischio, più che concreto, che si arrivi a una sentenza di primo grado con Ilaria ancora detenuta" ha concluso il legale.

Roberto Salis, padre della donna, ha commentato dichiarando: "L'ennesima prova di forza del governo Orban". "Ilaria qui è considerata un grande pericolo" - ha aggiunto - "Il governo italiano dovrebbe fare un esame di coscienza. Le catene non dipendono dal giudice ma dal sistema carcerario e quindi esecutivo e il governo italiano può e deve fare qualcosa perché mia figlia non sia trattata come un cane".

Intanto è arrivata notizia che Gabriele Marchesi non andrà in carcere in Ungheria. Il co-indagato di Ilaria Salis, che era ai domiciliari da fine novembre, torna libero. Lo ha deciso la Corte d'Appello di Milano, che ha rigettato la richiesta dell'Ungheria di consegnare il ventitreenne arrestato sulla base di un mandato di arresto europeo per l'accusa di aver aggredito tre neonazisti a Budapest. Una richiesta di consegna respinta dall'Italia in quanto esiste il "rischio reale di un trattamento inumano e degradante" nelle carceri ungheresi e "c'è fondatezza di timori di reali rischi di violazione dei diritti fondamentali", conclude la nota della Corte d'Appello.

Davide Fifaco