Foto: Mladinska knjiga
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Nessuno poteva ipotizzare che la presentazione di un libro messo in cantiere tanto tempo fa potesse essere anche un argomento di stretta attualità. Oggi quando si parla del conflitto tra israeliani e palestinesi il linguaggio diventa “partigiano”. Per Milharčič Hladnik: “siamo abituati ad espressioni di odio radicale, da tutte le parti, da parte palestinese e da parte israeliana. Tutto il discorso politico è basato sull'odio e sull'esclusione di coloro che non ci piacciono e che parlano un linguaggio che non riteniamo corretto”. Allora forse in soccorso ci può venire la letteratura, che non ha certamente il compito di risolvere i problemi, ma quello di presentarli in tutta la loro complessità. “Ogni giorno a Jenin” è Il racconto di una commovente saga familiare, che narra le vicissitudini di tre generazioni di palestinesi. Qui si intrecciano diversi filoni narrativi, che parlano di un conflitto mai risolto, penetrando dentro ogni personaggio per parlare di quelle che sono le cicatrici di ognuno di loro e di quelle dei loro popoli. Per Ervin Hladnik-Milharčič si tratta di “un romanzo di una complessità straordinaria a cui non si è più abituati quando si leggono le descrizioni del Medioriente”. Quello che sorprende, hanno detto alla presentazione, è l’empatia e la capacità dell’autrice di comprendere anche l’altro pur narrando quello che il suo popolo chiama “Nakba” (cartastrofe). Un libro scritto in inglese da una palestinese, cittadina americana e nata in Kuwait. Per certi versi potrebbe essere letto come cronaca giornalistica, visto che offre una meticolosa narrazione dei fatti, ma quello che sorprende è la complessità dei personaggi. Per Hladnik Milharčič di solito queste storie sono fatte da “figure di cartone”, che offrono una rappresentazione stereotipata, dove gli israeliani sono spesso rappresentati come una forza micidiale che opprimono i palestinesi, mentre i palestinesi come un gruppo di violenti. Il merito dell’autrice è invece quello di offrire al lettore “un romanzo che sul piano umano è veramente sorprendente”.

Stefano Lusa