In grammatica non tutto è giusto o sbagliato, bianco o nero. Spesso la lingua ammette più possibilità, o ci possono essere diverse sfumature di accettabilità.

Per i cognomi di donne, fino a qualche tempo fa di solito si usava l'articolo, appunto per precisarne il sesso, ma oggi questa regola viene messa sempre più spesso in discussione. "Da un lato l'orientamento antisessista, ostile all'asimmetria rispetto al maschile, dall'altro il modello dell'inglese ne stanno riducendo l'uso", si legge alla voce "A come articoli" del volume "Giusto, sbagliato, dipende" (Mondadori), il nuovo libro dell'Accademia della Crusca che aiuta a districarsi tra i nostri dubbi di parlanti (e scriventi).

Ma diamo la parola alla linguista Raffaella Setti, che insieme ad altri studiosi ha lavorato al volume: "Tendenzialmente l'articolo va sparendo, e l'uso corretto o comunque politicamente corretto sarebbe non usarlo. Il parlato è ovviamente meno controllato e quindi si tende a reiterare una modalità e un uso che erano quelli abituali. Diciamo che trattandosi di una tendenza del politicamente corretto dobbiamo essere un po' convinti ed educati progressivamente".

Insomma, se credete, Meloni meglio di "la" Meloni, quando ci riferiamo a Giorgia Meloni, perché le opportunità siano pari anche sul piano linguistico.

E visto che siamo in argomento, pochi dubbi ormai su "sindaca", "ministra" o "assessora". Anzi. L'Accademia della Crusca, che è uno dei principali punti di riferimento per gli studi sulla nostra lingua, caldeggia anche nomi professionali femminili come "medica", oppure "questora" e "prefetta", forme non ancora altrettanto diffuse ma grammaticalmente correttissime. "Medica", poi, è attestata nella letteratura fin dai primi secoli: se ne hanno esempi già in Boccaccio.