La lingua ha avuto un ruolo determinante nella formazione dell'identità nazionale slovena, e quanto fosse (e resti) importante il 'fattore' lingua nessuno poteva capirlo meglio dello scrittore triestino Boris Pahor, che tanto ha sofferto per l''idioma negato'. Proprio all'autore di "Necropoli" e di "Qui è proibito parlare", da poco scomparso, si deve la proposta di dedicare una giornata al padre della lingua e della letteratura slovena, ricorrenza infine istituita dal Parlamento di Lubiana nel 2010.

Soprannominato il Lutero sloveno, Primož Trubar, vissuto fra il 1508 e il 1586, discepolo del vescovo di Trieste Pietro Bonomo che lo ordinò sacerdote, fu il più attivo animatore della riforma protestante in terra slovena. Costretto alla fuga e all'esilio in Germania, vi scrisse i primi due libri, un "Catechismo" e un "Abecedario", entrambi pubblicati nel 1550, che sono anche i primi libri stampati in lingua slovena.

Importante fu il suo incontro con lo scomunicato vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, personalità di spicco del protestantesimo istriano, cui la cultura slovena riconosce il merito di aver suggerito a Trubar la scelta dell'alfabeto latino in luogo dei caratteri gotici usati nelle prime edizioni.

Convinto della necessità di evangelizzare il popolo nella sua lingua, Primož Trubar tradusse il Nuovo testamento e i Salmi e promosse la pubblicazione di opere slovene di altri autori protestanti. Una scelta linguistica che ha segnato indelebilmente la storia dei suoi connazionali, mettendo a loro disposizione uno strumento espressivo che li ha uniti nel tempo e nello spazio al di là della diversità di concezioni e orientamenti culturali, ideologici o religiosi.

Benché gli scritti di Trubar fossero stati posti all'Indice dalla Chiesa di Roma, la sua opera ha costituito un modello per numerosi autori dei secoli successivi. E a riconoscere l'importanza della figura di Trubar furono nell'Ottocento, all'epoca del risveglio nazionale dei popoli, anche gli intellettuali cattolici.