Il cofanetto che racchiude le tre cantiche, edito da Mgs Press, sarà presentato oggi alle 17.30 al Museo Revoltella, a Trieste, nell'ambito della rassegna "In viaggio con Dante" proposta da Triestebookfest

"In mezaria del corso de la vita / me go trovà int'una boscaia scura / parchè gavevo perso la via drita. // Dir cossa che no iera la xe dura, / 'sta boscaia salvadiga e intrigada, / che za al pensier me torna la paura. // La morte poco pezo saria stada: / ma, par contar del ben che go trovà, / dirò de coss' che go incontrà de strada".
Ed eccolo, l'incipit famoso della Divina Commedia, nella versione in triestino di Nereo Zeper, scrittore, umorista, ex sceneggiatore e regista Rai innamorato del suo dialetto, a cui ha dedicato tra le altre cose una grammatica, e già autore di una edizione aggiornata del grande dizionario di Mario Doria.
"Perché tradurre Dante? Il servizio non lo rendo a lui, certamente; però lo rendo al dialetto", spiega Zeper, che dopo l'Inferno e il Purgatorio, già pubblicati in passato ma ora rivisti, si è cimentato anche con la traduzione e il commento del Paradiso. "Volevo fare un lavoro esteso per dare al dialetto la possibilità di ampliare le sue possibilità lessicali e fraseologiche, compilando una sorta di vocabolario vivente, ossia strutturato non in ordine alfabetico".
L'impresa, indubitabilmente, è fra quelle che farebbero "tremar le vene e i polsi" a chiunque. Quali sono le state - gli chiediamo - le difficoltà maggiori? "Innanzitutto la povertà del lessico triestino, e di conseguenza la difficoltà di trovare rime adeguate di una certa varietà. Per esempio il triestino non possiede il passato remoto, quindi le forme che traducono il passato remoto di Dante si riducono a passati prossimi, e la rima è sempre quella del participio -à, -ado, -ada, e così via".

Come fa ancora notare l'autore, "il dialetto impiegato per il testo della traduzione è quello antico, della fine dell'Ottocento", non senza il frequente ricorso a venetismi, italianismi e friulanismi laddove necessario.
Nereo Zeper ha dedicato la sua opera ai Triestini. Scritto, precisa, con la t maiuscola. "E intendevo dire che lo dedico a quanti parlano ancora triestino".