A fine Ottocento, e poi per molto tempo ancora, il compito della Società Dante Alighieri è stato quello di tenere viva la lingua tra i milioni di emigrati italiani sparsi per il mondo. E spesso, magari, di insegnargliela, perché tanti parlavano solo il dialetto. Sulle navi che partivano per le Americhe l'associazione fondata nel 1889 sotto gli auspici di Giosuè Carducci allestì delle biblioteche di bordo, con sillabari e manuali per le prime letture. E Benedetto Croce, che di queste biblioteche ne realizzò quattro, propose la riduzione delle spese di viaggio per i maestri elementari che avessero insegnato la lingua nazionale agli emigranti analfabeti.

Nei primissimi tempi della sua fondazione, però, l'attenzione della Dante fu rivolta innanzi tutto agli italiani delle terre irredente, del Trentino e della Venezia Giulia, dell'Istria e della Dalmazia allora soggette all'Austria, a beneficio dei quali l'associazione spese il suo impegno nel sostenere svariate iniziative di tipo scolastico e culturale. Il retroterra al cui interno prese corpo nell'Italia post-risorgimentale il progetto della Dante fu infatti quello dell'irredentismo, e un fuoriuscito triestino il 'tessitore dell'impresa', Giacomo Venezian, professore di giurisprudenza in varie università del Regno e infine a Bologna, morto sul Carso nel 1915; cugino di quel Felice Venezian, esponente del partito liberal-nazionale, che fu tra i protagonisti della sezione adriatica della Lega nazionale.

Racconta tutte queste vicende, che danno il senso delle idealità di un'epoca, un saggio del professor Giovanni Di Peio, presidente emerito del Comitato di Roma della Dante, uscito in occasione dei 130 anni di fondazione della Società ("La Società Dante Alighieri. Le origini"). "Dovunque suona un accento della lingua nostra, dovunque la civiltà nostra lasciò tradizioni, dovunque sono fratelli nostri che vogliono e debbono rimanere tali, ivi è un pezzo della patria che noi non possiamo dimenticare", si legge nel manifesto fondativo della Dante,

pubblicato nel volume. A sottoscrivere l'Appello agli Italiani furono 159 personalità del mondo politico e culturale del tempo. Tra i tanti nomi anche alcuni patrioti istriani: Giorgio Baseggio, nativo di Capodistria, avvocato, che viveva a Milano; e l'isolano Domenico Lovisato, professore di Geologia e mineralogia presso l'Università di Cagliari a cui è oggi intitolata la biblioteca della comunità italiana di Isola.

Ornella Rossetto