Foto: BoBo
Foto: BoBo

E' un aspetto che può sfuggire, ma buona parte dei libri che leggiamo ha un autore invisibile, un coautore il cui nome non figura sulla copertina. Non ci riferiamo all'editor o al gostwriter di turno ma al traduttore, senza il quale una larghissima parte della letteratura mondiale resterebbe fuori dalla portata di noi lettori. Tradurre, ossia letteralmente ed etimologicamente trasportare forma e senso di un testo da una lingua in un'altra lingua, ricorrendo se necessario anche a processi di adattamento. Per esempio: come si traduce la regionalità linguistica? Come si rende - in croato, poniamo - il romanesco del "Pasticciaccio" di Carlo Emilio Gadda o dei "Ragazzi di vita" di Pasolini? Come si traduce il dialetto siciliano dei romanzi polizieschi di Camilleri? Risponde Iva Grgić Maroević, docente di Teoria e storia della traduzione all'Università di Zara e traduttrice di numerose opere di autori italiani, da Pirandello a Primo Levi a Dacia Maraini e a Daniele del Giudice che, ospite a Capodistria, ha parlato proprio di questo argomento.
"In croato Camilleri viene tradotto appoggiando la traduzione alla regione della Dalmazia, che i lettori croati vedono come quel corrispettivo di meridionalità, di analogia mediterranea verso la quale ambiscono".
Ma cosa significa tradurre, per Iva Grgić Maroević? "Tradurre è come suonare il pianoforte, suonare una melodia scritta da qualcun altro ma eseguita da noi. Quindi il traduttore e la traduttrice si possono paragonare agli artisti che eseguono opere altrui. In questo senso il traduttore è un coautore, allo stesso modo in cui uno Chopin suonato da un pianista non è uguale allo Chopin di un altro pianista. Dovrebbe rimanere sempre Chopin, ma in un'altra versione".