La difesa aveva chiesto il proscioglimento o un nuovo processo, ma era scontato che i giudici avrebbero invece confermato l'ergastolo inflitto a Mladić nel novembre del 2017. Il boia di Srebrenica come è stato battezzato dai media mondiali, anche se l'elenco dei crimini che pesano sulla sua coscienza è molto lungo e certi non sono stati neanche inseriti tra i capi di accusa, ufficialmente non c'entra con le uccisioni sistematiche di musulmani e croati nel resto della Bosnia Erzegovina perché anche il ricorso della procura che qualificava come genocidio le liquidazioni dei civili in altre cinque città controllate dalle milizie serbe, è stato bocciato. Quelle atrocità non furono genocidio, ma crimini di guerra e crimini contro l’umanità perché come ritengono i giudici, malgrado l'indubbia pulizia etnica, a livello locale l'esistenza delle comunità etniche colpite non era in forse. Ad ogni modo il nome di Mladić sarà per sempre legato al massacro di Srebrenica, l'enclave al confine con la Serbia, dove le vittime accertate sono per il momento più di ottomila. E poi rimane l'assedio di Sarajevo. In tutto il processo a Mladić ha conosciuto adesso l'epilogo dopo nove anni, ossia dieci, se si calcola il suo trasferimento all'Aja nel 2011 seguito al suo arresto in Serbia dopo ben sedici anni di latitanza. Il procuratore capo del Meccanismo, istituito per concludere i processi rimasti attuali dopo la chiusura del Tribunale per l'ex Jugoslavia, Serge Brammertz ha dichiarato che tutti i leader politici nei paesi dell'ex Jugoslavia e del mondo dovrebbero condannare quello che Mladić ha fatto, però la colpa è solo sua, questa - ha detto - non è una sentenza a carico del popolo serbo. In realtà per la maggioranza dei serbi, soprattutto nella Serbo-Bosnia, Mladić rimane un eroe, assieme a Radovan Karadžić e ad altri pezzi grossi e pesci minori, alcuni morti altri rilasciati dopo aver scontato la pena, e per convincersene potrebbe bastare uno sguardo agli stradari della Republika Srpska.

Boris Mitar