In Italia è il caso politico del momento, ma il Meccanismo europeo di stabilità, e la sua riforma, hanno creato non poche perplessità fra i governi dell’Unione europea che ne fanno parte.
L’istituto in realtà non è una novità: è stato creato nel 2012, e si tratta di un’organizzazione intergovernativa dei paesi dell’area euro, nata con lo scopo d’intervenire nel caso di difficoltà economiche dei governi a rischio di default.
Ne fanno parte paesi molto consistenti economicamente, come Germania, Francia e Italia, che partecipano con il 27, 20 e 18 per cento dei 50 miliardi di dotazione finanziaria, ma anche paesi come la Slovenia che contribuisce con lo 0,5. Il Mes può inoltre raccogliere sul mercato fino a 700 miliardi di euro emettendo titoli.
Un meccanismo imponente, che è già intervenuto in passato in Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda, paesi che hanno utilizzato gli aiuti, ma accettando condizioni anche molto pesanti come nel caso della Grecia, con un piano di riforme attuato sotto al sorveglianza dalla cosiddetta “Troika”, il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale.
La riforma che ha scatenato la bagarre in aula alla Camera in Italia, e che viene additata dagli oppositori come una limitazione della sovranità dei paesi membri, prevede un ulteriore irrigidimento delle condizioni, nonostante la trattativa che ha in parte mitigato le richieste dei paesi economicamente più solidi, Germania in testa, che non intendono versare fondi per sostenere dei governi che non hanno rispettato le regole comunitarie facendo aumentare a dismisura il debito pubblico e non risanando il sistema bancario in questi anni.
I paesi più indebitati, come l’Italia, puntano invece a creare linee di credito senza la necessità di assumere impegni, una richiesta in parte accettata, ma solo per i paesi che rispettano i parametri di Maastricht, una situazione che di fatto esclude 10 stati sui 19 dell’eurozona, e proprio quelli che potrebbero dover ricorrere agli aiuti.
La misura che più preoccupa è però quella sulla ristrutturazione del debito, vale a dire la possibilità, in caso di pericolo di default, di restituire solo parte del debito pubblico in mano a banche e privati, un meccanismo che, nei paesi ad alto debito come l’Italia, potrebbe far schizzare alle stelle gli interessi sui titoli di Stato, visto il rischio concreto che il capitale alla fine venga restituito solo in parte.


Alessandro Martegani


Foto: MMC RTV SLO
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