Foto: Reuters
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La questione era stata sollevata poco meno di un mese fa dalla sindaca di Monfalcone Anna Maria Cisint, che aveva definito “inaccettabile il comportamento degli stranieri musulmani” che fanno “abitualmente” il bagno al mare con i loro vestiti, annunciando un provvedimento per tutelare “il decoro e l’igiene”, ma la vicenda ha superato i confini della Città dei cantieri.
Questa volta lo scenario della crociata anti burkini è stato lo storico stabilimento balneare “la Lanterna”, più noto a Trieste come il “Pedocin”, struttura più che centenaria, l’unica in Italia dove ancora esiste una rigida separazione fra uomini e donne, rispettivamente confinati in aree dedicate divise da un muro che si protende anche in acqua. Sembrerebbe una struttura perfetta per i severi costumi dei cittadini di religione islamica, ma così non è stato.

Quando si arriva in un Paese ci si dovrebbe adeguare non solo alle leggi, ma anche alle abitudini e alle tradizioni del luogo

Roberto Dipiazza

La presenza di un gruppo di donne di religione islamica che si stava apprestando a entrare in acqua con i vestiti addosso, ha infatti provocato una sorta di sommossa da parte dei bagnanti, che hanno cominciato a gridare e a chiedere che non fosse consentito fare il bagno vestiti, adducendo motivi morali, non si sa riferiti a quale regola, e perfino norme igieniche, dimenticando forse che le signore stavano per fare il bagno in mare, fra l’altro a pochi metri dal porto e dalla città.
Parte delle bagnanti presenti ha però contrattaccato, difendendo il diritto di scegliere come e con che abbigliamento fare il bagno, ricordando che in Italia c’è la libertà di religione. Gli animi si sono scaldati, tanto da far intervenire gli addetti alla sicurezza dello stabilimento che, come verificato dalle stesse protagoniste della vicenda, in realtà non ha alcuna regola che vieti di fare il bagno vestiti. Il tutto è avvenuto, paradossalmente, proprio nell’unico stabilimento che ha un muro che divide gli uomini dalle donne, ma che non è nuovo a queste dispute: lo stesso tema era stato sollevato già nel 2016.

Se delle donne sentono la necessità di rimanere coperte quando vanno al mare credo abbiano il diritto di farlo, ma penso sia legittimo chiedere loro di indossare un vestiario da spiaggia e non gli abiti di tutti i giorni

Francesco Russo

La vicenda ha però confermato l’insofferenza diffusa verso i costumi islamici e la tendenza, anche da parte di esponenti politici, a chiedere ai cittadini di religione islamica di adeguarsi non solo alle norme, ma anche alla morale occidentale, un principio che in realtà, in questo caso, è stato contestato anche dalla Chiesa cattolica. «Una triestina può andare in bikini in Arabia? - ha dichiarato il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza il quotidiano il Piccolo - No, non può farlo: quando si arriva in un Paese ci si dovrebbe adeguare non solo alle leggi, ma anche alle abitudini e alle tradizioni del luogo, è il minimo che possiamo pretendere da chi arriva qui da noi”.
Dal centro destra i commenti sono quasi tutti su questa linea, mentre da sinistra arrivano inviti al dialogo e distinguo: “Se delle donne sentono la necessità di rimanere coperte quando vanno al mare credo abbiano il diritto di farlo, - ha detto Francesco Russo, vice presidente del Consiglio regionale del Pd -, ma al tempo stesso penso sia legittimo chiedere loro di indossare un vestiario da spiaggia e non gli abiti di ogni giorno”.
Il consigliere regionale Furio Honsell, di Open Sinistra Fvg, parla invece apertamente di “odiosi episodi xenofobi nei confronti di donne musulmane”: “ognuno è libero di fare il bagno come ritiene giusto – ha aggiunto -, ma è anche importante spiegare educatamente che, in un Paese laico e libero come l'Italia, ogni donna è libera di fare il bagno in costume, molto più comodo che completamente vestiti”.

Alessandro Martegani