Foto: Martegani
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Tre giornate per puntare i riflettori sull’attività di giornalisti coraggiosi, che spesso rischiano la vita per raccontare le zone dimenticate e flagellate del mondo, ma anche per ragionare sulla stretta attualità, come il conflitto nella striscia di Gaza e le guerre in Ucraina, e sui diritti dei bambini. Sono le giornate del Premio Luchetta, che culmineranno domenica con la premiazione dei vincitori della ventesima edizione.
Il programma è partito subito con un tema tanto attuale quanto delicato da maneggiare: il conflitto nella striscia di Gaza. Moderati dalla giornalista RAI Maria Concetta Mattei, presidente della Giuria del premio, sul palco dell’auditorium del Museo Revoltella, giornalisti italiani, ma anche palestinesi e israeliani in collegamento da Betlemme e Tel Aviv, hanno fatto il punto sulle conseguenze della guerra sulla popolazione e sulle prospettive del conflitto, una guerra che, come ha ricordato Daniela Luchetta, presidente della Fondazione che si occupa di assistere i bambini vittime delle guerre e che organizza il premio, sta colpendo soprattutto la popolazione civile.
Nel corso del confronto Rawan Odeh, giornalista palestinese in collegamento da Betlemme, ha descritto una situazione molto difficile delle popolazioni che vivono a Gaza, ma anche in Cisgiordania, praticamente bloccate nelle città, ha detto, dove i rifornimenti sono molto scarsi e dove soprattutto i bambini crescono, ha raccontato, con la paura costante di raid da parte dell’esercito israeliano.

Foto: Martegani
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Anche Haggai Matar, giornalista israeliano, molto critico con il governo guidato da Benjamin Netanyahu, ha parlato di una situazione “terribile”: “Gli attacchi di Hamas sono criminali – ha detto - ma Israele deve sospendere gli attacchi incondizionatamente: solo dopo questo passo ci potrà essere una trattativa”. Matar ha anche sottolineato come, nonostante Netanyahu sia al livello più basso mai raggiunto di popolarità, il suo partito, il Likud , abbia ancora un ampio seguito, e come Israele voglia comunque dare un’immagine di unità di fronte a questo momento drammatico”.
Critiche sul governo Netanyahu sono giunte anche dagli altri relatori, ma se la ex vicepresidente del Parlamento europeo ed esponente della sinistra, Luisa Morgantini, ha accusato senza mezzi termini Israele di aver oppresso il popolo palestinese per decenni e l’attuale governo di Tel Aviv di aver provocato il conflitto, la giornalista Anna Maria Selini, che ha pubblicato una serie di podcast sugli accordi di Oslo, ha sottolineato come la pace in questo momento sia molto lontana a causa di un odio reciproco coltivato per decenni, mentre Francesco Battistini, autore e corrispondente del Corriere della Sera, ha ribadito anche le responsabilità del fronte palestinese, ma soprattutto ha sottolineato come i fatti del sette ottobre siano seguiti ad anni di disinteresse da parte dell’opinione pubblica internazionale e anche israeliana sul rapporto con i palestinesi. “Appare sconcertante – ha detto - che Israele non si aspettasse una cosa simile, perché la situazione era peggiorata da tempo e Netanyahu ha fallito proprio sul tema chiave della sicurezza”.

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Un dibattito che non ha mai avuto toni eccessivi, nonostante opinioni molto diverse, che hanno causato anche qualche reazione da parte del pubblico, e che, secondo Daniela Luchetta, rappresenta un modo utile per ragionare su questi temi. “È stato – ha detto - un dibattito estremamente coinvolgente e interessante. È difficilissimo parlare di questi temi, perché, io non so perché, ma ultimamente l’opinione pubblica in Italia tende a dividersi, ci si schiera sempre anziché approfondire, si decide da che parte stare. È successo con il covid, è successo con l'Ucraina, e succede oggi con la Palestina e Israele. Sono molto orgogliosa del fatto che la Fondazione offra invece la possibilità di approfondire e di ascoltare: forse oggi non si ascolta molto”.
Luchetta sottolinea anche la necessità di un cambiamento nella politica di accoglienza dei migranti, che giungono in gran numero a Trieste lungo la rotta balcanica e sulla cui accoglienza la città e l’Italia si sono divise. “Sinceramente ritengo che la situazione sia tragica: personalmente trovo vergognoso che una città come Trieste non trovi i fondi e gli spazi per accogliere delle persone di passaggio o stanziali, o eventualmente per spostarle in altri posti dove potrebbero essere accolte. Trovo spaventoso che dei ragazzi che hanno già passato e vissuto tutto quello che si sa, che attraversano per arrivare fino a qua, debbano poi trovarsi in condizioni veramente tremende in mezzo ai topi, al freddo, alla pioggia, alle bisce mi hanno detto. Io non riesco ad accettarlo, e penso che così facendo non possiamo veramente dire di essere civili”.

Alessandro Martegani