Dopo la protesta sindacale, culminata con la manifestazione di sabato scorso a Trieste, la vertenza della Wärtsilä, la multinazionale finlandese che lo scorso luglio ha annunciato la chiusura della produzione di motori nell’impianto di Bagnoli della Rosandra mettendo a rischio 450 posti di lavoro senza calcolare l’indotto, sbarca anche nelle aule dei tribunali.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo, in attesa della nuova riunione al Ministero dello sviluppo economico con i vertici dell’azienda fissata per domani, è stato il ricorso presentato dalla regione Friuli Venezia Giulia al giudice del lavoro del Tribunale di Trieste, in cui i legali della Regione lamentano una “non corretta comunicazione da parte della Wärtsilä nella procedura di chiusura dell'impianto produttivo”.
La regione ha poi chiesto al giudice ordinario anche di considerare se ci siano i presupposti per avviare una procedura di fronte alla Corte costituzionale, per valutare se le norme italiane sulla delocalizzazione siano compatibili con la difesa del diritto al lavoro sancito dalla legge fondamentale italiana, visto che le sanzioni previste al momento non sarebbero a sufficienti a difendere il principio costituzionale.
La procedura messa in atto da Wärtsilä, aveva sottolineato la stessa assessora al lavoro Alessia Rosolen, avrebbe violato il diritto all'informazione della Regione e di fatto impedirebbe di mettere in atto tutte le misure a difesa dei livelli occupazionali e produttivi del territorio regionale.
Si muove anche la politica: il gruppo del Pd alla Camera ha infatti presentato un emendamento al disegno di legge “Aiuti bis”, che dovrebbe rendere più difficili le delocalizzazioni, ripristinando una serie di condizioni e sanzioni che mirano alla salvaguardia dei livelli occupazionali e consentono la cessione dell'azienda o di rami d'azienda, per consentire di continuare le attività.

Alessandro Martegani