La mozione approvata dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, che tende a escludere dai contributi regionali a chi nega o riduce la portata del dramma delle Foibe e dell’Esodo, ha coinvolto anche uno degli storici che più si è occupato della storia del dopoguerra sul confine orientale.
Nel testo, come esempio di “riduzionismo”, si indica infatti anche il “Vademecum del Giorno del Ricordo”, uno studio che raccoglie interventi di alcuni storici sui fatti che caratterizzarono il dopoguerra, gli eventi delle Foibe e dell’esodo, fra gli altri anche il Raoul Pupo, professore di Storia Contemporanea all'Università di Trieste.
Nel testo della mozione il Vademecum viene accusato di diffondere “una versione riduzionista della storia della pulizia etnica perpetrata dai partigiani titini”. Una posizione a cui Pupo, che non era intervenuto nel dibattito innescato dal Giorno del ricordo, ha replicato, definendo la questione una “polemica politica” che nulla ha a che fare con lo studio storico, e rigettando l’accusa di negazionismo o del riduzionismo sulle Foibe.
“È da più di 20 anni - dice - che mi occupo di queste faccende. Ho sempre cercato anche di combattere quelle che sono effettivamente delle istanze negazioniste, peraltro limitatissime, esistenti in alcuni ambienti della sinistra antagonista. Da questo punto di vista non posso che sorridere: chi ha letto il Vademecum che viene citato nella mozione, evidentemente sapendo quello che fa, si renderà conto benissimo che non c'è materia discussione. Temo si tratti di un atteggiamento decisamente pregiudiziale da parte dei firmatari della mozione, e di non informazione da parte di chi l'ha votata”.
A suo parere siamo di fronte al rischio che si voglia creare una storia di Stato, con la politica che dice come deve essere fatta e interpretata?
“Proprio così: come deve essere fatta la storia e la verità scientifica. La storia è una disciplina scientifica, che va avanti per ipotesi, analisi delle fonti, confutazioni e nuove acquisizioni. Non è democratica, come non è democratica la scienza, non si può votare a maggioranza cosa è vero e cosa è falso, bisogna fare una ricerca rigorosa. La mozione invece pretende di decidere a maggioranza cosa è vero e cosa è falso, e questo è inaccettabile per principio, di là del caso specifico. È come se il Consiglio regionale decidesse che la Terra è piatta, e quindi tutti dovessero conformarsi, altrimenti si perdono i finanziamenti.”
Secondo lei questa mozione, che esclude dai finanziamenti gli enti accusati di riduzionismo, è applicabile?
“Lo sapremo quando l’assessorato regionale farà il riparto dei finanziamenti agli enti culturali e agli istituti storici. Non esiste un criterio: chi può decidere cosa è riduzionismo e cosa non lo è, o cosa è vero in storia e cosa è falso, se non gli storici stessi? Vedremo chi ha in mano le redini del potere che cosa farà, sarà una scelta politica.”
Al di là del voto della mozione, è comunque un periodo molto difficile su questi temi, e il giorno del Ricordo quest’anno sembrava innescato una battaglia su dati e contenuti storici…
“C’è stata in effetti un’evoluzione, o involuzione, su questo tema: negli ultimi anni il Giorno del Ricordo era stato l'occasione per una serie di riflessioni molto serie su tutte le vicende del confine orientale, fatte assieme con tutti gli istituti, come l'istituto di Storia della Resistenza, anche con alcune associazioni degli esuli, e delle comunità istriane a Trieste e in molte altre parti d'Italia, quindi un clima molto costruttivo. Quest’anno invece, causa immagino il mutato clima politico, c’è stata una radicalizzazione nettissima, dettata da una fortissima attenzione, e una sopravvalutazione, di quelli che vengono considerati fenomeni negazionisti, che, ripeto, sono una realtà veramente marginale, e una riproposizione di un clima e di tesi che sono le stesse di 30 anni fa, come se nel frattempo la ricerca storica non fosse andata avanti”.
Quindi mi sta dicendo che secondo lei è una linea, se non voluta, perlomeno indotta da questo clima politico?
“Penso che sia volutissima, con un segno politico molto preciso, non vedo alcuna casualità, fanno esattamente quello che vogliono: c’è un tentativo di spostare all'indietro lo stato degli studi, lo stato del dibattito, soprattutto continuando ad insistere su alcune categorie, come quella della pulizia etnica applicata alle Foibe, che non sta in piedi alcun modo, perché noi conosciamo le fonti, conosciamo gli ordini. Pur sapendo benissimo che si è trattato di un episodio terribile, di una violenza di stato, di un crimine di massa, con la pulizia etnica non c’entra per niente. Non è che dire ‘pulizia etnica’ aggiunga qualcosa, è semplicemente un'altra cosa, però siccome è uno slogan che è entrato nel circuito politico, più che storiografico scientifico, allora si continua a farvi riferimento: è un dibattito politico, la storia non c'entra proprio niente”.
Ma è così importante poi il dibattito sul numero delle vittime, quanto conta sul giudizio storico e politico che si esprime sul quel capitolo di storia?
“In realtà i numeri sono abbastanza fissi da tempo, non c'è niente di particolarmente nuovo. Quello che c'è di nuovo è l’enfasi sulle cifre gonfiate, eventualmente, perché è da anni che sappiamo che per quanto riguarda le Foibe l'ordine di grandezza è di alcune migliaia, per quanto riguarda l’Esodo è fra i 280 e i 300 mila, gli ordini di grandezza sono quelli. Il confronto è sui perché naturalmente: perché ci sono state tante vittime? Perché in una fase precedente ce n’erano di meno? Quindi un confronto interpretativo serio, ma le cifre abbastanza fisse. La cosa importante è capire che, rispetto al primo dopoguerra, dove le vittime ci sono, ma sono all'ordine di decine o al massimo di centinaia, in mezzo c'è stata la guerra mondiale, e la guerra mondiale fatto saltare la differenza tra militari e civili, e ha segnato il passaggio allo stragismo, quello che avviene durante la guerra e quello che avviene sul fronte orientale, in Jugoslavia durante la guerra di liberazione, che è anche guerra civile e rivoluzione, e quello che avviene nella Venezia Giulia, quando si estendono le stesse logiche delle guerra in Jugoslavia, ma questo lo sappiamo già da anni.”
Perché su questi temi, nonostante sia passato più di mezzo secolo, non si riesce a trovare una storia condivisa?
“Ma il punto è proprio che la storia condivisa c'è, è la memoria che non è condivisa, da chi ne fa uso politico. Sulla storia non ci sono grandi margini di discussione, in particolare sulla questione delle Foibe, in cui le fonti sono chiarissime. La commissione italo slovena ha finito i suoi lavori nel 2000, sono passati 20 anni: quella è storia condivisa”.
“Sull’Esodo ci sono anche ricerche nuove ma non ci sono grossissime differenze interpretative tra gli storici: poi ci sono altri che commentano il passato e dicono di essere storici, ma non so a chi si riferiscano perché non hanno studi specifici e non conoscono le fonti. Chiunque può dire di essere uno storico, ma la differenza è che quando uno dice di essere un muratore, tira su un muro, e poi la casa casca, si vede subito che raccontava frottole, quando invece uno si occupa del passato e dice di essere uno storico e racconta frottole, non casca il muro e non se ne accorge nessuno. Sulla storia non ci sono grossi problemi, ci sono opinioni diverse, che possono sempre esistere, ma non c'è un problema degli storici italiani o degli storici croati: ci sono storici che lavorano e storici che non capiscono nulla. Semmai il problema è sulle memorie, ma le memorie sono soggettive, c'è sempre una differenza tra storia e memoria.”
“La memoria continuerà sempre a ripetere ciò che è stato percepito negli anni drammatici e poi si è consolidato nel tempo, questo è inevitabile. Non accade mica solo per queste vicende qua, accade per moltissime altre. La funzione della storia è quella di essere una disciplina critica, che mette assieme le diverse fonti e da queste fonti cerca di trarre un giudizio storico, una spiegazione. Ci sono alcuni ambienti, nazionalisti, della destra, in parte anche alcune realtà dell’Esodo, che confondono volutamente la storia con la memoria, non accettano che la storia cerchi di spiegare, accettano soltanto la memoria, che soffre, ovviamente, e condannano quando la storia cerca di spiegare. Dicono che si vuole giustificare, ma non c'entra niente. La storia cerca semplicemente di spiegare, sono due campi diversi.”


Alessandro Martegani

Foto: Radio Capodistria /wikipedia
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