Mettere in luce la produzione cinematografica europea, ma soprattutto guardare la realtà con un’ottica diversa, che spesso rivela aspetti della società e dell’umanità rimasti in ombra nella coscienza collettiva.
Il Trieste Film Festival è giunto alla 35 esima edizione, diventando, con ha detto l’assessore comunale alla cultura Giorgio Rossi nel corso della presentazione del programma (che si svolgerà in più location dal 19 al 27 gennaio), “parte del patrimonio culturale della città”, e “un esempio di come collaborando e con il lavoro di squadra si possano raggiugere grandi obiettivi”.
“Il Trieste film festival – ha aggiunto l’assessore regionale alla cultura Mario Anzil - è nato prima della caduta del muro di Berlino, ed è oggi un punto di confronto per la cultura di quest’area, diventata il cuore dell’Europa: la possibilità di vedere più punti di vista è una ricchezza”.

Foto: Martegani
Foto: Martegani

Si parte con un doppio appuntamento di apertura al teatro Miela il 19 gennaio, con il film “Non aspettarti troppo dalla fine del mondo” del regista Romeno Radu Jude, una critica alla società che non capisce più l'imbarbarimento in cui è caduta, ma durante le giornate ci sarà la possibilità di assistere a film di differenti tradizioni. Una rassegna sarà dedicata alle registe tedesche, con attenzione alla Germania di oggi, mentre il 23 ci sarà la cerimonia dei premi della critica, con la presenza di Marco Bellocchio. Giovedì 25 la giornata sarà invece dedicata al cinema sloveno.
In generale sarà un’edizione che riserverà grande attenzione al ruolo delle donne, e che avrà anche molti eventi collaterali, anche per scuole e studenti, elencati sul sito del Trieste Film Festival. Si chiude il 27 gennaio, giornata della memoria, con una storia ambientata ad Auschwitz.

Foto: Martegani
Foto: Martegani

La linea che unisce tutto il programma è sempre la volontà di guardare la realtà in modo diverso, un po’ “sghembo”, come dice la direttrice artistica del Trieste Film Festival, Nicoletta Romeo. “Ogni anno - spiega - c'è uno sguardo un po' obliquo sulle cose, è un nostro modo, molto singolare, di raccontare una realtà, di raccontare il mondo dell'arte, di raccontare il mondo del cinema. Uno sguardo obliquo che forse mette un po' di distanza nelle cose, per guardarle e raccontarle nella giusta prospettiva”.
Il programma è una panoramica sul cinema una volta definito “di confine” ma in realtà i confini si stanno ampliando, si tratta di cinema europeo e non solo…
“I confini stanno cambiando in continuazione: quando si compra un atlante geografico non si sa mai se e per quanto tempo i confini disegnati rimarranno tali. Con questo tipo di cinema secondo me si raccontano, in maniera veramente molto ravvicinata, tutti i cambiamenti di questi confini, ma soprattutto i cambiamenti che sono conseguenza dello spostamento dei confini. È un festival che, nonostante contenga anche retrospettive, momenti di approfondimento storico, di singoli autori, di singole tematiche, si sposta molto sul contemporaneo”.
“Il contemporaneo è molto presente soprattutto nel mondo dei documentari, che ci raccontano delle realtà, anche struggenti, anche dolenti, sempre in maniera filtrata attraverso gli occhi degli artisti, ma che non ci allontanano mai da questi mondi. Li raccontano senza paura, con molto coraggio, usando gli strumenti del cinema”.
La giornata di chiusura coincide con il Giorno della Memoria, e prevede la proiezione di un film dedicato alla Shoah, e anche in questo caso con un'ottica totalmente differente…
È un grandissimo film, “La zona di interesse” di Jonathan Glazer, che tra l'altro sarà nelle sale in Italia grazie a Wonder Pictures. È un film già premiato al Festival di Cannes, ha vinto tanti premi, e anche lì si racconta la Shoah soprattutto attraverso il suono: il film è tutto ambientato in una tenuta del direttore del campo di concentramento di Auschwitz, dove seguiamo la banalità della vita quotidiana di una famiglia che allora abitava veramente a pochi metri da quel terribile inferno, e solo con il suono intuiamo una realtà che non è quella di una semplice casa, bella, col giardino. È, se vogliamo, un accostamento impossibile, ma perché è impossibile anche raccontare la Shoah, e forse questa è la scommessa che ha vinto questo film, cioè raccontare il mondo che le stava accanto, è uno dei modi in cui è possibile raccontare ciò che è indicibile”.

Alessandro Martegani