Giornate confuse, piene di paure, tra chi ancora non ci crede, a chi si ostina a negare ciò che sta accadendo a livello mondiale e a chi sommessamente resiste. Sono tante le reazioni in questo momento complicato della nostra storia, non credo sia compito di nessuno giudicare o mettersi a dare lezioni. E’ arrivato forse il momento di dare sfogo a quelle fragilità che per tanto tempo abbiamo nascosto dietro a modelli imposti da una società basata solo sul progresso illimitato a scapito di madre terra, ignorando il suoi limiti spingendo sull’acceleratore del benessere.
E’ strano questo corona, come lo chiama Paolo Rumiz dal suo diario della quarantena, perché ci obbliga a fare i conti con la nostra finitezza, con la limitazione all’onnipotenza narcisistica che questa società individualista ha preteso da noi. Una chiara battuta di arresto a un sistema che si insinua fin dentro le nostre cellule spingendoci alla costante insoddisfazione, meglio se compensabile con qualche prodotto da acquistare, per ora solo online o nei supermercati.
Qui però arriva la parte più bella, un vero ma, l’obiezione a un modello che ha fallito nel senso nobile di quest’esperienza sacra che dischiude forme di conoscenza autentica. Negli ultimi giorni moltissimi di noi hanno sentito la necessità di rimettersi a fare il pane in casa. I supermercati hanno esaurito quasi immediatamente ogni forma di lievito, quello di birra, quello secco, persino prodotti vegani costosissimi la cui resa è sconosciuta agli stessi produttori. Tutti chiusi in casa a fare il pane, avidi di quel profumo unico che invade le stanze e che si irradia dal cuore di ogni abitazione, la cucina. Al di là delle mode per il pane “sourdough” come lo chiamano oggi, l’arte della panificazione è la più antica e diffusa al mondo; intere generazioni si sono mantenute grazie alla sapienza delle donne che hanno custodito questa antica magia. E i pani sono diversi in tutto il mondo: le farine, frutto della fatica dell’uomo nel lavorare la terra (“con il sudore della fronte” ti guadagnerai il pane), sono differenti in ogni angolo del globo. Una biodiversità compromessa dalle mode industriali che sacrificano l’unicità a favore di una standardizzazione vendibile. Grano saraceno, segale, quinoa, avena, mais, riso ma anche le farine di grani antichi, come il friulano Sorc o il Graziella Ra dei Girolomoni di Isola del Piano, nei pressi di Urbino. Farine che non vengono vendute dalle grandi multinazionali ma che a forza di passare di famiglia in famiglia, di stagione in stagione sono diventate perfette per uno specifico luogo, talvolta anche di un’unica collina che per esposizione, ventosità e umidità si rivela migliore per quella qualità. La bellezza della diversità creta dalla stessa natura.
E poi il lievito, per correre ai ripari dall’assenza degli scaffali dei supermercati, per una volta spinti all’uso di quell’ingegno che non ha solo l’Ulisse che erra per mare sperando di tornare a casa, abbiamo iniziato a cercare. La dolce scoperta è che la produzione del famoso e prezioso lievito madre è semplicissima: si mescolano acqua e farina in uguali quantità e si lascia agire il tempo, una meraviglia visto che ora ne abbiamo così tanto. I batteri - non il subdolo virus che ci sta decimando - contenuti nell’aria permettono che si inneschi il processo più importante della nostra alimentazione, la fermentazione. Secondo varie ricette che ci siamo scambiati online e che abbiamo chiesto ad amici che già si erano lanciati in questa atavica attività, dopo tre giorni il lievito vive e anche per questo motivo bisogna dargli un nome, perché una vita nuova entra nelle nostre famiglie. O nel mio caso ci ritorna visto che il nostro lievito abbiamo deciso di chiamarlo Marino, l’uomo del pane. E poi questo nuovo organismo va accudito e nutrito, ogni con una certa costanza: ci vogliono tempo e pazienza (sperando che gli amici continuino a divulgare i loro preziosi consigli).

Così buoni esperimenti e che anche il vostro pane suoni!
(in questo scritto ogni riferimento è preciso, per chi fosse curioso a capirli sono a completa disposizione)

CordialmenteCIAO


Martina Vocci
Letture consigliare
Predrag Matvejević, Pane nostro, Garzanti, Milano 2010


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L'arca dei Saperi a Buie e il pane di Leonilda

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In foto il bellissimo pane della mia vicina di casa Jasmina

Foto: TV Koper-Capodistria
Foto: TV Koper-Capodistria