Foto: Radio Capodistria/Stefano Lusa
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All’inizio sembravano dover essere solo uno sparuto gruppetto, ma poi sono diventati migliaia. L’appuntamento era fissato alle 13 in Piazza della Repubblica, tanto per mettere in difficoltà il parlamento, che ha chiuso i lavori in fretta e furia già nella tarda mattinata. La piazza, transennata e presidiata da ingenti forze dell’ordine in assetto antisommossa, ha poi ha iniziato, piano piano, a riempirsi. Alle 13.40 sono partiti i discorsi, che sono iniziati con un minuto di silenzio per ricordare la ventenne deceduta a causa di un’embolia all’ospedale di Lubiana, forse per una complicazione dovuta al vaccino a cui è seguita l’esecuzione dell’inno nazionale, dopodiché ha parlato brevemente alla folla il padre della ragazza, poi un lungo crescendo di interventi fatti dagli uomini di Resni.ca, il movimento che ha informalmente organizzato la protesta, ma forse anche da semplici cittadini. Così i presenti sono stati arringati, ad esempio, dalla madre di un soldato, che da venerdì sarà costretto ad essere vaccinato o guarito di recente per poter lavorare in presenza, da una commessa di un negozio, che per dirla con la retorica dei 5 stelle ha detto che “uno vale uno” e da un signore che dicendo di essere un medico ha spiegato tutto il complotto che ci starebbe dietro il vaccino e la sua presunta pericolosità. Alla fine, dopo più di due ore, è salito sul palco Zoran Stevanović, il leader del movimento, che si è scagliato contro tutta la classe politica ed in particolare contro il premier Janez Janša. Un discorso, il suo, contro tutte le limitazioni, l’imposizione del vaccino e del Green pass, concluso con l’invito a seguirlo davanti al Palazzo del Presidente della Repubblica. La folla prima ha fatto tappa davanti all’edificio e poi si è riversata per le vie cittadine, mandando in tilt la circolazione. Una lunga marcia, non per le eleganti stradine del centro cittadino, ma verso la periferia, fatte di anonimi palazzoni, da cui molti partecipati sembravano provenire. Un corteo pieno di bandiere slovene, molte appena tirate fuori dal cellofan, con tanto di pieghe regolari, composto da quelle che sembravano essere persone comuni e fino a ieri disinteressate alla politica. Hanno sfilando urlando “ladri”, “libertà”, “giù le maschere”, “le vie sono nostre” ed invitando i passanti e quelli che si affacciavano alle finestre ad unirsi a loro. Ci sono voluti parecchi chilometri per arrivare all’imbocco della tangenziale. Lì la polizia ha tentato di bloccare, senza successo, il corteo e poi ha cercato di evitare che entrasse in autostrada. Le forze dell’ordine hanno anche usato gli idranti, ma molte persone sono riuscite ad arrivare sulla carreggiata attraversando le siepi. Hanno percorso qualche centinaio di metri fino ad arrivare alla prima uscita, da dove sono ritornati sulle strade della periferia, aiutati anche da alcuni lacrimogeni sparati dalla polizia. A quel punto è iniziato il lungo rientro verso il cuore della città, nel corso del quale la polizia, con l’elicottero, ha ripetutamente intimato ai manifestanti di sciogliere il corteo. Quasi arrivati in centro non sono mancati altri lacrimogeni per sgomberare la carreggiata. Guidati dal controverso rapper Zlatko, i manifestanti sono arrivati davanti alla sede della RTV e si sono spostati da lì solo dopo l’arrivo di ingenti forze di polizia e degli idranti. Alla fine, tutti sono tornati tutti in Piazza della Repubblica, che a quel punto era molto più piena di quando era stata lasciata. Con l’elicottero della polizia che volava a bassa quota ed invitava la gente a sciogliere le manifestazione, è ripartito un breve il comizio che si è concluso quando è stato nuovamente intonato l’inno nazionale.

Stefano Lusa

Foto: Radio Capodistria/Stefano Lusa
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