Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić
Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić
Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić
Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić

Immaginatevi una colonna sonora fatta di porte che sbattono. In definitiva le storie incominciano e finiscono così, con porte che si aprono per richiudersi. Se c’è qualcosa che ti fa capire che Capodistria, oggi massiccio porto commerciale dell’ alto Adriatico, abbia qualche difficoltà con la sua identità, sono le porte e i portoni delle case restaurate del centro storico. Non c’è ne sono due che si somiglino, sono tutte diverse, cambiate durante gli anni come a voler dare un taglio netto con gli antichi proprietari degli immobili. Quello che vedi è il prodotto dei gusti bizzarri degli attuali proprietari, che nello scegliere hanno sicuramente guardato al prezzo, perché restaurare una porta originale costa molto di più di una porta nuova di plastica o alluminio. Non dappertutto però; c’è da dire che alcune zone del quartiere storico, Bossedraga, sono recuperate molto bene.
Lungo la bella riva cittadina, sopra i tre archi di mussoliniana memoria, affacciati sull’ antico porticciolo la Porporella, verso il rione di Semedella, da qualche mese troneggia la scritta Grand Koper. E’ un’ insegna grande, che svetta sui tetti della città vecchia, insieme al grattacelo, non proprio bello, di stampo socialista, nato per gli operai della fabbrica Tomos, fabbrica che non c’è più, e oggi restaurato per accogliere appartamentini di lusso, dicono.

Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić
Foto: Radio Capodistria/Aljoša Curavić

Lo dico senza titubanza, anche se capisco la scelta dei nuovi proprietari dell' albergo, da cittadino della minoranza italiana mi piacerebbe vedere, troneggiare sopra i tetti della mia città, anche la scritta con il nome italiano Grand Capodistria, consapevole che ciò è praticamente impossibile, malgrado ci sia più di qualche legge che lo imponga. Fino a qualche anno fa lo stesso albergo, oggi in mani private, si chiamava hotel Triglav, che è il monte più alto della Slovenia, il più alto delle Alpi Giulie, una vetta che per gli sloveni è molto più di un monte, è un simbolo. Ce ne hanno parlato così tanto a scuola, da piccoli, che ci è rimasta scolpita nella memoria la sua altezza, neanche fosse la cima più alta del mondo. L’ architettura è potere, è la visualizzazione della volontà di egemonia culturale di una nazione o di un’ideologia, ne erano consapevoli gli antichi , lo sapevano i fascisti e lo sapevano molto bene anche i comunisti. Con le dovute proporzioni, con meno ambizione lo sanno anche i contemporanei.
C’è una bella poesia di Charles Simić, poeta statunitense di origini serbe, Hotel insonnia. Le mura delle sue stanze erano così sottili, ci racconta Simić, che una volta persino il singhiozzo di un bambino era così vicino che per un attimo pensai di singhiozzare anche io.
Ecco, ora immaginatevi il singhiozzo di un bambino.